Mi ha fatto bene leggere il romanzo di Giampiero Guadagni Accorcia le distanze. Mi capita di rado ormai di leggere autori italiani ma questo è il primo libro dopo tanto tempo che mi ha lasciato qualcosa dentro e che ogni sera durante una settimana sono tornato a riprendere senza fatica, piuttosto il contrario.
Bisogna precisare subito che non è un libro facile, qualcuno potrebbe dire che non è un romanzo, ma io sono contrario a classificazioni di generi, altrimenti bisognerebbe ridefinire molta della grande narrativa del primo Novecento. Non è facile perché è pieno di rimandi, di riflessioni su questioni molto importanti della vita, perché è un romanzo nel romanzo, perché nella seconda parte è una sorta di sogno che defluisce in una prosa sempre lucida e davvero notevole. Non è facile, ti devi impegnare su ogni frase, ogni riga, ma tutto ripaga, perché Guadagni ha rimesso in gioco se stesso scrivendo questo romanzo, ha scavato in se stesso e lo ha fatto cercando il volto dell'altro. Il risultato, a mio avviso, è un'opera autentica, che si sostiene per mezzo di una scrittura elaborata ma mai superflua, mai compiaciuta, spesso sofferta ma senza dubbio catartica, liberatoria.
Una immaginaria stagione di un Campionato di Serie A, scandita ogni domenica dai risultati parziali e finali delle gare che arrivano, come in un tempo che ormai ci sembra lontanissimo, dalla radio, è lo scenario sul quale si muove, tra il girone di andata e il ritorno, tutto il romanzo, che è costruito come una gigante metafora dietro la quale c'è un bisogno vero, quello di riprenderci la domenica come giorno di festa condiviso, con la famiglia, con i parenti, gli amici vecchi e nuovi, sì perché Guadagni, con leggerezza linguistica e stilistica, riesce a far entrare nella composizione narrativa, quasi sommessamente, un versetto della liturgia per aiutarci a riflettere su occasioni della vita reale, e per ricostruire relazioni autentiche in un mondo che sembra aver perso il valore appunto reale dell'esserci qui su questa Terra, che è quello dell'incontro, che poi è l'umanesimo di Lévinas, sul quale bisognerebbe tornare. È l'incontro imprevedibile o cercato con l'altro che ci permettere di accettare il nostro essere, chi siamo veramente, da soli non riusciremo mai a cavare nulla da noi stessi, se non un corto circuito continuo e inane.
E uno degli incontri emblematici del protagonista di questa storia è quello con il suo vecchio professore, studioso dell'Umanesimo, che ha dato alle stampe l'ultima aggiornata versione del suo lavoro di una vita. Un incontro quaranta anni dopo tra l'allievo e il maestro voluto dal maestro che ha bisogno di comunicare la sua decisione di non scrivere più, di lasciare incompiuta la sua opera, ma non per stanchezza o perché non ha più nulla da dire, ma per donarla a quelli che vengono dopo di lui: “la parte incompiuta della nostra vita è l'eredità e il dono che facciamo a quelli che vengono dopo di noi”. Il legame dicotomico tra compiuto e incompiuto, tra ciò che si è fatto - il passato – e quello che si fa e si farà, questa complessa unità degli opposti in noi che si rivelano essere una cosa sola, perché “noituttisiamo”, come scrive Guadagni riprendendo la metafora calcistica: individualità e squadra, questo blocco fluido del nostro divenire è ricchezza, non privazione.
Uno dei capitoli chiave del romanzo è quello intitolato “La porta verde” che mi ha fatto tornare in mente lo splendido e terribile racconto di Kafka Davanti alla legge . Un sogno ricorrente, che ha infinite diramazioni oniriche ma che riporta sempre il protagonista allo stesso luogo: un porticato che conduce alla porta verde. Il versetto liturgico che Guadagni cita in questo capitolo è questo “Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio”.
Cosa c'è dietro la porta verde? Non qualcosa di oscuro, minaccioso, piuttosto qualcosa di familiare, amichevole, di caldo. È come l'uomo di campagna di Kafka che non sa che quella porta stava li per lui, si sente indegno di poterla varcare, aspetta tutta la vita e infine muore, così in senso della porta verde è in questo sentimento di inadeguatezza alla felicità forse, o alla salvezza.
Un altro capitolo che ho sentito molto vicino è “Manovra asfittica”: un uomo che guarda in strada in piedi sul balconcino della cucina. E quello che vede lo indispone, quello che ha intorno in casa lo indispone, il senso di oppressione cresce mentre gli spazi si restringono, ogni reazione non fa che aumentare questa sua lotta mentale con se stesso, non ha più punti di appoggio sta per crollare davanti all'insignificanza stessa della sua manovra asfittica, mentre gli altri conducono la loro vita normale, come se fosse facile essere normali, cortesi adeguati: “Cosa devo fare?” è la domanda della liturgia della terza domenica d'Avvento.
Devo, imperativo categorico, non “posso”. Se lo è chiesto il padre e tutto ciò che ha ottenuto è stato appunto la consapevolezza che da solo non può farcela. Se l'è posta la moglie ed ora è il turno della bambina che la rivolge direttamente ai genitori. E sta qui la svolta di questa domenica “avvitata su stessa” , basta la ventata della sua giovinezza, della sua freschezza che ha portato “aria nuova in tutte le stanze”. Ora ci si muove con più scioltezza nella casa, genitori e figlia non sono monadi separate ma collegate tra loro.
Si potrebbero dire tante altra cose di questo romanzo che fa bene leggere e, sono certo, abbia fatto bene a Guadagni scrivere. Il finale è spettacolare, perché il sogno dello scudetto sognato alla fine si avvera, la squadra con la maglia di un colore solo vince il campionato, la squadra ideale che è composta dai nomi di campioni si sdoppia diventa due squadre che devono un'ultima volta affrontarsi in un gioco che non voglio svelare ma che rivela il vero artefice della partita che noi giochiamo ogni giorno qui con la nostra vita insieme a quella degli altri, e il vero protagonista di questa storia.
Giampiero Guadagni, Accorcia le distanze. Incontri di andata e di ritiorno, Prefazione di Francesco Repice, Marcianum Press 2023, pp. 190, euro 18