Yves Klein e Arman, vuoto e pieno, astrazione e concretezza, spiritualità e incorporeo contro edonismo e accumulo. Due artisti i cui stili e il cui approccio con l’arte apparentemente sembra aver poco in comune, ma che in realtà presentano molte più analogie di quante si possano immaginare, a partire dalla loro partecipazione, quali protagonisti indiscussi al Nouveau Realisme, movimento che si manifesta tra il 1960 e il 1970, che vanta come esponenti, oltre a loro, Cesar (Cesar Baldaccini), Jean Tinguely, Martial Raysse, Christo, Mimmo Rutella, Dechamp, Niki de Saint Phalle e molti altri, accomunati da un ritorno all’oggettualità, e da un’attenzione alla realtà che si concretizza (fatta eccezione per Klein) nell’utilizzo di oggetti d’uso comune intesi nella loro autonomia espressiva; oggetti provenienti dall’industria, soprattutto scarti, rifiuti rigettati dalla società dei consumi di massa. Un movimento di breve durata che nasce ufficialmente a Milano nel 1960 e di cui si celebrarono i funerali nella stessa città nel 1970, con pubbliche esibizioni, performance provocatorie e in alcuni casi dissacranti organizzate per tre intere giornate intorno ad una retrospettiva allestita alla Rotonda della Besana, che voleva celebrare il decennale della nascita del movimento e omaggiare il ricordo di Klein, improvvisamente venuto a mancare nel 1962.
Yves Klein ed Arman (al secolo Armand Pierre Fernandez) non sono tuttavia accomunati solo dall’adesione al Nouveau Realisme. Nati entrambi a Nizza nel 1928, sono legati tra di loro da una profonda amicizia nata durante gli anni giovanili, quando nella medesima scuola praticano lo judo, così come insieme coltivano l’interesse verso le dottrine esoteriche come quella dei Rosacroce, di cui vi sono evidenti traccie soprattutto nelle opere di Klein. Svolgono per tutta la loro esistenza una ricerca artistica senza mai perdersi di vista, anzi traendo ispirazione e stimolo l’uno dall’altro, maturando esiti apparentemente opposti ma complementari.
Per la prima volta dal 22 settembre al 12 gennaio 2025 presso la Fondazione Giancarlo e Danna Olgiati a Lugano, attraverso sessanta loro opere, i due artisti vengono messi a confronto in un affascinante vis à vis, incentrato intorno ai concetti di “vuoto” e “pieno”, entità su cui essi fondano le loro poetiche. Il progetto dal titolo “Yves Klein e Arman.
Le Vide et Le Pien”, curato da Bruno Corà e allestito da Mario Botta, riprende il titolo da due mostre allestite separatamente dai due artisti: la prima tenutasi nel 1958 a Parigi presso la Galleria Iris Clert intitolata “Le vide”, in cui Klein decise di lasciare completamente vuoti gli spazi espositivi; la seconda, organizzata nei medesimi locali da Arman due anni dopo, intitolata “Le Pien” in cui l’artista riempì completamente gli spazi con detriti, vecchi mobili e oggetti vari, tanto da non permettere ai visitatori di entrare, portando il pubblico inevitabilmente a pensare ai due eventi come parte di un progetto unitario. Un progetto unitario che in realtà solo ora prende concretamente vita per desiderio e volontà dei coniugi Olgiati che da tempo desideravano mettere a confronto le opere dei due amici francesi. Il progetto della mostra allestita negli spazi espositivi della Collezione Olgiati, adiacenti al centro culturale LAC di Lugano, si sviluppa attraverso un dialogo frontale costituito da un percorso parallelo allestito in spazi poligonali simili a absidi, in cui separatamente, in contrapposizione, vengono presentate le opere di Klein e di Arman, espressione delle loro poetiche opposte e complementari, seguendo un ordine cronologico tematico.
Fin dall’ingresso dell’esposi -zione, che si apre con lo splendido calco “Portraits reliefs di Arman” fatto da Klein in color blu klein su oro, il visitatore si rende conto, nel tripudio di colore che caratterizza l’opera dei due pittori, del loro differente approccio concettuale all’arte. Da un lato Klein tende a liberare lo spazio e far parlare nelle sue opere gli spazi vuoti dando un valore concettuale al nulla, dal lato opposto Arman riempie all’inverosimile gli spazi delle sue opere caricando di significati allegorici gli oggetti che ammassa visivamente e praticamente nelle sue opere come denuncia alla società di massa e all’accumulazione di beni superflui. Esteticamente i risultati artistici di entrambi hanno un grande valore simbolico e invitano il visitatore a prendere atto del consumismo che caratterizza il nostro mondo e del bisogno di ritornare ad una dimensione spirituale dell’esistenza.
La prima cappella o abside della mostra è dedicata al ciclo dei Monocromi di Klein rappresentato da ben nove opere, realizzate nell’arco di cinque anni testimonianza delle stagione dedicata al monocromismo, che ha inizio nel 1955 con il monocromo rosa per passare a quello giallo e bianco, oltre ai dipinti declinati nei toni diversi del suo celebre colore blu, fino al monocromo realizzato in foglia d’oro su vetro. Sul lato opposto, nella prima abside di destra si incontra invece la cappella dedicata ai “Cachet” di Arman, lavori creati obliterando timbri inchiostrati su carta o su tela, definiti dall’artista “traccie di vita”, prima vera manifestazione della sua arte, a cui approda su suggerimento di Klein, che gli consiglia di scegliere un suo gesto per distinguersi dagli altri pittori e avere un proprio tratto distintivo.
Nel secondo spazio dedicato a Klein si incontrano invece le Antoprometrie, in mostra per la prima volta nel 1960 a Parigi, opere costituite da impronte antropomorfe, lasciate sulla carta dai corpi coperti di pigmento di modelle in movimento, caratterizzate da una dinamica di trascinamento, che si coniugano con l’idea del corpo, una coniugazione temporale che ricorda le impronte dell’uomo primitivo. In opposizione, nell’abside di destra, si aprono le “Accomulationes” e le “Pou belles” di Arman, lavori costituiti da rifiuti inscatolati in teche di legno e plexiglass: rasoi elettrici, mani di bambole, ingranaggi di orologi chiusi in teche rappresentano l’impossessa mento dell’artista di tutti gli oggetti della società dei consumi, oggetti che vengono indagati e vivisezionati. In questa sezione è presente anche il “Pre mier portrait robot d’Yves Klein, le Monocrome”, opera del 1960 in cui in un contenitore di plexiglass tra indumenti, libri di Bachelard e altri oggetti, si erge una foto ritratto dell’amico. A proseguire di nuovo sulla sinistra, un abside è dedicata alla serie delle famose “spugne” di Klein, poste accanto all’”Excavatrice de l’espace”, opera su disco in legno impregnato di pigmento blu puro e resina sintetica recante un motore elettrico e munita di piedini di metallo, realizzata in stretta collaborazione con Tinguely. Opera che, se alimentata elettricamente, raggiunge velocità altissime diffondendo un alone blu immateriale.
A queste opere di Klein fanno da contrapposizione le Coleres (oggetti rotti o danneggiati) e le Coupes (oggetti tagliati o segati), entrambe del 1962: se le prime mostrano un sentimento irrefrenabile e i suoi effetti distruttivi le seconde, le Coupes mostrano anatomicamente l’interno degli oggetti, la loro frattura strutturale e i dispositivi di funzionamento. Tra essi si distingue il Cello, violoncello sezionato su supporto ligneo, Colere de Violon e Antonio e Cloeopatra. Arman taglia, distrugge, rimodella gli oggetti dopo esserne entrato in possesso mostrando la conflittualità della società dei consumi, che da un lato viene da lui rappresentata e dall’altro distrutta.
Nella quarta cappella è esposto il cosiddetto “ciclo dei Rosacroce” costituito da opere di Klein ispirate all’idea di immaterialità del cielo, le “Cosmogo nie” composte tra il 1960 e il 1961. La mostra si conclude con una quinta cappella in cui accanto all’ultimo ciclo di opere di Klein eseguite con l’uso del fuoco, attraverso il processo di combustione, che mostra i colori della fiamma, rosa, oro e blu, si contrappone l’opera senza titolo di Arman costituita da un violino bruciato in una teca di plexiglass, posta accanto alle’“Accomulazioni Renault”, opere in cui Arman , a seguito della sua collaborazione con la Renault, si confronta con l’og getto dell’industria automobilistica, creando opere con carrozzerie, fili elettrici, luci e tutto ciò che è legato alla automobile. Nel 1962 Klein muore e questo pone fine al sodalizio tra i due artisti.
La sua influenza su Arman continua tuttavia anche negli anni successivi, come si vede nelle sue ultime opere presenti nel percorso ticinese create nel 1968-69.
La mostra, che si può a tutti gli effetti definire unica nel suo genere soprattutto per l’attualiz zazione con cui vengono proposte le poetiche dei due artisti, tese non solo a rappresentare la sensibilità dell’epoca ma anche a superarla proiettandosi molto più avanti, ci ricorda l’impor tanza, ieri come oggi, del superamento dello status quo dell’arte, come dichiara Klein “per poter ritornare alla vita reale, quella cioè in cui l’uomo pensante non è più il centro dell’universo ma l’universo è il centro dell’uomo”.