Gian Arturo Ferrari è un’istituzione dell’editoria nazionale. Dopo il suo passaggio dalla vocazione accademica alla Mondadori, sul finire degli anni ’80, la letteratura italiana contemporanea conobbe alcuni dei suoi momenti più felici. Non stupisce allora che oggi, un grande e titolato conoscitore di libri si cimenti con il romanzo. E senza la necessità lunghezze da dizionario, facilitate dalla scrittura elettronica. Tutt’altro.
“La storia se ne frega dell’onore” è già accattivante nella sua visibile snellezza. Per di più si tratta di un giallo. Umberto Eco fece qualcosa di differente con “Il nome della rosa”. Lì la detection si snodava lungo un percorso di lettura, concepito per selezionare quanti fossero capaci di reggerlo nelle prime 144 pagine e quindi proseguire.
Gian Arturo Ferrari ci mette molto meno ad “acchiappare”. Lo fa dalle prime righe de “La storia se ne frega dell’onore”, allorché un assistente della polizia si reca nella prefettura della Milano fascista per riferire a un responsabile venuto da Roma sull’omicidio di un commissario. I tre personaggi, due vivi e uno morto, rimarranno anonimi per l’intera durata della vicenda.
Non così i comprimari. Innanzi tutto Luigi Bassetti, direttore editoriale della Pietromarchi, l’immaginaria ma credibilissima casa editrice definita “la più importante d’Italia”. Anche lui viene ammazzato. Su ordine esplicito del commissario, che vuole impadronirsi di un manoscritto in possesso della vittima e dettato da tale Duillio Forconi, alto ufficiale dell’esercito ugualmente deceduto, sia pure non per mani criminali. Chi ne scopre lo sconvolgente contenuto è Donatella Modiano, segretaria delle edizioni Pietromarchi e amante di Bassetti fino a quando lui non finisce sotto un tram, spinto da tre picchiatori pagati dall’anonimo commissario.
Quest’ultimo aveva tessuto intorno a sé una rete di informatori e informatrici, personalità della Milano bene, intellettuali e gerarchi, disposti a spiare per suo conto.
Anche la Modiano era entrata giocoforza nel cerchio subdolo del commissario, ricattata per salvare dall’arresto il fratello, che tramava contro il regime nel gruppo di Giustizia e Libertà.
Dove va a parare il manoscritto di Forconi si capisce abbastanza presto. Solo che non è questo l’obiettivo di Ferrari. Lui sta genialmente costruendo un tracciato rotatorio che nello straordinario finale riconduce all’incipit. Come il “Finnegans Wake” di James Joyce, ma anche in questo caso senza attardarsi in una prosa che servirebbe unicamente a mutare la trama in un gioco di enigmistica. Chesterton diceva che il giallo è un divertimento raffinato per menti elevate. “
La storia se ne frega dell’onore” costituisce invece un efficace pretesto poliziesco per riportare in superficie l’ennesimo lato oscuro del Novecento italiano.