Nella primavera del 1925, ben cento anni fa, a Parigi si apriva dopo diversi anni di attesa e rimandi l'Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes, da cui deriva la definizione 'Art Déco'. Un evento aH'interno del quale si volevano definire i caratteri, codificandoli, dello stile contemporaneo, uno stile che in realtà si era andato affermando a partire dal primo decennio del Novecento, espressione di una modernità incalzante e frenetica, che si manifestava nel lusso e nell'eleganza trionfante soprattutto nelle arti decorative italiane. In realtà l'Espo sizione del 1925, programmata fin dal 1911, ma che a causa di fattori esterni, non ultima la guerra, era stata più volte rimandata, si può, a posteriori, definire il momento culmine, nonché il punto di arrivo di questo fenomeno, esplosivo, ma di breve durata, che si esprimeva contemporaneamente e in contrapposizione alTArt Nouveau pur recependo da essa i valori legati al binomio arte e vita e alla visione dell'arte come cosa di tutti, pervadendo ogni ambito della vita quotidiana, non solo attraverso oggetti di alto livello artistico, ma anche negli oggetti di uso comune. Nell'Esposizione parigina si concentrano tutte le forze europee portando le loro diversificate proposte, mentre tutte le contraddizioni non risolte nei decenni precedenti esplodono. L'Ita Ma che si presenta a Parigi è quella mussoliniana, un paese che vuole mostrarsi moderno che vuole 'presen tarsi in smoking e non come il paese delle camicie nere' e vuole perciò dare il massimo.
Non a caso gli italiani con i loro prodotti vincono tantissimi premi. Dietro gli oggetti che vengono presentati vi è una classe borghese che vuole dimenticare quanto successo durante la prima guerra mondiale e che non vuole vedere ciò che accade nella realtà di quel momento, convinta di poter vivere e promuovere un nuovo sistema. L'uomo appena uscito dalla guerra desidera guardare al futuro con ottimismo e vuole comunicare tutti gli aspetti della modernità attraverso il cinema, i manifesti, i treni, la pittura e gli oggetti 'per addolcire l'aspra vita quotidiana con il sorriso del divino, del solo indispensabile superfluo' come dichiara Margherita Sarfatti, figura fondamentale per l'arte e per la cultura italiana del Novecento. La Sarfatti crede che le arti decorative siano un veicolo fondamentale per diffondere il gusto italiano, sostenendo che 'l'arte decorativa è testimone fedele del costume del tempo e rivelatrice di significative verità anche se pretende di camuffarle'. Il sogno dell'età modernista è proprio legato al desiderio che l'arte deve essere alla portata di tutti e il mondo della ceramica e della manifattura deve farsene portavoce, creando quel legame indissolubile tra industria, artigianato e arte. Un sogno che dovrà aspettare ancora diversi decenni per potersi realizzare; la crisi del 29 porta infatti alla definitiva fine l'Art Déco a causa del crollo dell'industria del lusso.
Il Comune di Milano, a testimonianza di questo gusto artistico che ha portato universalmente il successo delle arti decorative italiane, ha voluto celebrarne il centenario con la mostra 'Art Déco. Il trionfo della modernità', allestita dal 27 febbraio al 29 giugno presso Palazzo Reale. Un luogo che ha un legame storico stretto con questo nuovo linguaggio in cui arte, artigianato e industria sono strettamente unite tra di loro. Guido Marangoni, importante intellettuale e politico del tempo, aveva infatti proposto di adibire Palazzo Reale (dopo la sua cessione da parte del re al demanio dello Stato avvenuta nel 1919) a primo 'Museo del mobile e delle arti decorative'. Già nel 1919, lo stesso Marangoni aveva promosso presso l'U manitaria TEsposizione regionale lombarda di arti decorative' il cui motto era stato 'Sapere, Fare e Sapere Fare'. Non riesce tuttavia nel suo progetto e sposta il suo interesse verso la Villa Reale di Monza, dove nel 1923 viene allestita la prima 'Biennale Internazionale delle arti decorative moderne', anticipando e diffondendo quello stile che poi sarebbe stato codificato nel 1925 a Parigi come Art Déco. La biennale dopo diverse edizioni a Monza “a partire dal 1933 troverà sede presso il Palazzo dell’arte della Triennale appositamente costruito da Giovanni Muzio”, dove si tiene ancora oggi, come ha ricordato il direttore di Palazzo Reale Domenica Piraina in occasione dell’inaugurazione della mostra milanese, sottolineando il desiderio di Marangoni di valorizzare le arti decorative per intensificare e facilitare i rapporti tra industria, artigianato e arte. Ecco la ragione per cui la mostra milanese è idealmente dedicata a questo lungimirante intellettuale capace di dare alle arti decorative pari dignità degli altri generi artistici. La mostra milanese è virtualmente dedicata oltre che a Guido Marangoni anche a Rossana Borsaglio, importante interprete dello stile Déco e grandissima studiosa delle arti decorative italiane, che per prima si è occupata del fenomeno Déco e che il caso ha voluto nascesse proprio nel 1925.
Il progetto espositivo, fortemente scenico e immersivo, grazie alle proiezioni cinematografiche dell’epoca, ai giochi di luce e alle scenografie che di sala in sala si alternato riproducendo l’atmosfera primo novecentesca, curato da Valerio Terraroli, è suddiviso in 14 sezioni e si concentra prevalentemente sull’arte italiana degli anni Venti con alcuni contrappunti legati alla Francia, non essendo il Déco un linguaggio uguale per tutti, ma un codice che viene poi declinato da ogni cultura con caratteristiche diverse. Attraverso ben 250 oggetti in materiali, forme e colori diversi, il visitatore ha la possibilità di cogliere i molteplici aspetti di questo nuovo stile, sintesi perfetta fra la qualità e la preziosità dei materiali (onice, acciaio, marmo, plastica, vetro, tessuti…), le competenze tecniche eccezionali e le grandi doti di creatività. Riempiono le sale oggetti scattanti, geometrici, essenziali, con linee rette e angoli taglienti, in piena opposizione con ciò che c’era stato prima, cioè con gli oggetti eclettici, storicistici e floreali, e questo perché le avanguardie storiche avevano influenzato il nuovo gusto, in cui la tavolozza del colore era molto accentuata e varia. Fin dall’ingresso della mostra il visitatore può cogliere la grande modernità dell’Art Déco, grazie ad un enorme dirigibile appeso al soffitto, simbolo di progresso, innovazione, movimento e modernità che in quegli anni era contrassegnata dalle automobili, dall’illuminazione elettrica, dagli aerei e dalla radio che iniziavano ad apparire, diffondendo un atteggiamento positivo verso il futuro, tanto da far parlare di “anni ruggenti”. Ed è proprio in questo clima che si afferma l’i dea di pensare e di unire all’oggetto quotidiano l’ele ganza e la praticità, dando origine al moderno design, di cui Milano è la più grande interprete a livello internazionale. Un legame tra passato e presente che ancora oggi rimane ed è insito nel concetto di Made in Italy.
La mostra apre la prima sezione con la presentazione di alcuni fenomeni che anticipano il nuovo stile e il cambiamento di sistema linguistico già presenti nel 1910, a partire da alcune immagini pittoriche e scultore, poiché i primi ad avvertire i cambiamenti di gusto sono proprio gli artisti, influenzati sia dall’acceso colore degli espressionisti e da una sorta di bidimensionalità anti naturalistica (evidente nel confronto tra “La piccola russa” di Mario Cavaglieri e “Marie Rose Guerin” di Billlotey), sia dal grafismo delle Secessioni come emerge negli arazzi di Vittore Zecchin o negli studi preparatori per i dipinti dello scalone delle Terme di Berzieri a Salsomaggiore di Galileo Chini, in cui emergono le influenze di Klimt. Con la seconda e la terza sezione si entra nel cuore della mostra attraverso una presentazione di quella che era stata nel 1923 la prima Biennale organizzata alla Villa Reale di Monza da Guido Marangoni, per passare poi all’Esposizione di Parigi del 1925, dove viene coniato il termine Art Déco, inteso come gusto, linguaggio e stile di quel ventennio.
In queste due sezione si possono ammirare le opere in ceramica di Gio Ponti, i vetri trasparenti di Vittorio Zecchin, le sculture di Adolf Wildt e gli argenti di Renato Brozzi, tutti premiati con il Grand Prix. A concludere questa prima fase dell’espe rienza francese non poteva mancare una sezione riservata esclusivamente ai raffinati ed eleganti prodotti francesi contrassegnati dalle ceramiche Sevres, dai sofisticati acquarelli di Ertè, e dalle opere in legno che decoravano le sale in cui si muovevano le affascinanti e moderne figure femminili come Wally Toscanini, che appare in un ritratto di Alberto Martini. La donna in questi anni appare ormai emancipata, porta i capelli corti e abili corti liberi dalle costrizioni di busti, abiti adatti per i movimenti e per una vita all’insegna della libertà e della modernità, come si può notare nella sezione dedicata alla moda, in cui sono presenti una serie di costumi provenienti da prestiti del Museo Morandi di Milano, accanto ad accessori e gioielli di rara raffinatezza artigianale. La vitalità che caratterizza questo periodo è strettamente legata al mondo della natura, spesso riprodotto nelle opere scultoree e pittoriche degli artisti, nelle sue declinazioni selvagge o epiche come si vede negli spazi dedicati al mondo esotico, con i numerosi richiami al mondo orientale, e a Gabriele D’Annunzio, ricordato in mostra da diversi oggetti provenienti dalle stanze della Prioria, ultima residenza del poeta vate nel complesso del Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera. Dalla rievocazione del mito al ritorno al mondo classico il passaggio è molto breve, tanto che molti oggetti di Art Déco riportano nelle loro forme e nelle loro decorazioni soggetti ripresi dal passato greco e romano, basti pensare alle cisti di Gio Ponti e ai decori delle sue ceramiche, che rievocano scene e personaggi insieme antichi e moderni, immersi in un’atmosfera silente quasi metafisica, e nello stesso tempo rievocazione delle figure manieriste e rinascimentali, ma dalle linee semplici e geometriche ereditate dalla pittura della Secessione, come si può notare nella sala XI dedicata all’a more per l’antichità. Una sala della mostra adibita a WunderKammer è dedicata ai sottili e trasparenti vetri di Vittorio Zecchin in dialogo con gli splendidi oggetti di oreficeria di Alfredo Ravasco, tra cui un fantastico centrotavola eseguito per i coniugi Campigli Necchi nel 1935.
A divenire simbolo in tutta Europa della raffinata arte della ceramica, del design e della creatività italiana sarò proprio un centrotavola prodotto dalla Richard Ginori nella sua grande fabbrica di Doccia. Un oggetto espressione di lusso e stravaganza, commissionato dal Ministero degli Esteri per le Ambasciate italiane, vero e proprio remake del “giardino alla veneziana”, emblema del Made in Italy e del trionfo dell’Art Déco. Creato appositamente nel 1927 da Gio Ponti e da Tomaso Buzzi, il centrotavola che domina la XIII sala della mostra, in ceramica bianca abbinata all’oro, è costituito da figure di tritoni, cavalli marini, putti ridenti e alberelli con al centro l’impersonificazione dell’Italia assisa su una conchiglia emergente dal fondo marino.
La mostra si conclude con un’ultima sala in cui è evidente come negli anni Trenta ormai l’Art Decò sia un fenomeno concluso, sostituito dallo stile Novecento, e gli oggetti sfarzosi lascino il posto ad altri, dalle forme asciutte tettoniche, prodotti a stampo e rivestiti da smalti monocromi, aprendo all’Art decò nuove vie nel mondo americano dove avrà inizio una Art Déco tutta hollywoodiana.
Art Déco. Il trionfo della modernità. Milano-Palazzo Reale, 27 febbraio-29 giugno 2025.