sono universali, sono
uno specchio in cui
tutta la vita umana
si riflette”.
Una verità innegabile contenuta in questa affermazione del Professor Giuseppe Zanetto, docente di Letteratura greca presso l’Università Statale di Milano nonché, studioso, traduttore e scrittore di numerosi saggi sul mondo ellenico tra cui “Miti di ieri storie di oggi. La tragedia greca racconta le passioni e il destino del nostro mondo”, ultimo suo saggio pubblicato nel mese di settembre con la casa editrice Feltrinelli. Un proseguo di un interessante percorso di “andata e ritorno” dal mondo passato ad oggi, iniziato lo scorso anno con la pubblicazione (con la medesima casa editrice) dell’opera “Siamo tutti greci”. Il docente milanese parte dal presupposto che le tragedie di ieri sono le tragedie di oggi e dunque di tutti i tempi, giacché sono la drammatizzazione del mito, che ne è il suo ingrediente principale. Poiché le storie dei miti appartengono a un passato remoto “fondativo”, che non è nel tempo, perché viene prima del tempo, si può affermare che esse sono anche le nostre storie.
Come diceva anche Aristotele “La tragedia non esaurisce la sua forza nel giro di in una o due generazioni, ma la conserva indefinitamente. La tragedia greca è più universale della storia”.
Il Professor Zanetto prende in esame nel suo nuovo testo una serie di drammi trattati dai grandi poeti tragici del V secolo a.C. Eschilo, Sofocle ed Euripide, le cui dinamiche si possono riscontrare anche in alcune vicende reali della nostra epoca e che, sia la letteratura come la cinematografia hanno più volte portato in scena.
Nata in Grecia nel VI sec. a.C. con una funzione catartica, la tragedia si diffonde a partire dal V secolo a.C. in un’Atene all’apice del proprio sviluppo. Essa rientrerà nei programmi delle grandi feste popolari in onore di Dioniso, Dio del vino e della fertilità, e sarà oggetto ogni anno di concorsi teatrali trasformandosi in un rito collettivo della polis. I temi trattati nella tragedia non erano tuttavia nuovi per il mondo greco, poiché si rifacevano a tematiche già affrontate nel mito con lo scopo di penetrare i misteri della vita umana e di aiutare gli uomini a superare la paura della morte e del dolore, grazie ad una loro rielaborazione collettiva. Il teatro diviene così anche il luogo in cui attraverso una reinterpretazione metaforica del mito il pubblico prova ad affrontare i problemi della vita politica e sociale di Atene.
In un continuo rimando alla tragedia classica Giuseppe Zanetto, rispettando pienamente questo valore eterno della tragedia, esordisce nella sua opera affrontando lo stretto legame tra amore e morte cantato da Euripide nella tragedia Alcesti (ripresa dall’ omonimo mito), in cui la giovane sposa Alcesti sacrifica la propria vita per amore del marito Admeto, condannato a morire giovane salvo trovare qualcuno che sia disposto a sacrificare la sua vita per lui. Una trama molto semplice in cui però lo spettatore viene colpito dall’intensità dei sentimenti contrastati della tragicità del destino. Una dinamica d’amore che viene ripresa dallo sceneggiatore Erich Segal nel film (poi uscito anche come romanzo nel 1970) “Love Story”, la cui protagonista muore nelle braccia del marito dopo aver vissuto un amore ostacolato dal suocero.
La medesima tragedia di Alcesti ci può aiutare a leggere anche i nostri tempi, facendoci riflettere sul diritto a vivere che ognuno di noi ha, indipendentemente dalle proprie aspettative di vita.
Admeto prima di chiedere il sacrificio alla moglie lo chiede ai genitori ormai anziani, a cui ipoteticamente rimarrebbe poco tempo da vivere. Essi tuttavia non sono disposti a morire al suo posto, giacché “per tutti è dolce vedere la luce del giorno”. In fondo è un dilemma di etica e coscienza che affligge anche oggi i medici nei nostri ospedali che si trovano a dover scegliere chi salvare e chi lasciare morire nell’impossibilità di poter curare tutti. Si tratta di stabilire se aspettative di vita e diritto alla vita sono correlati fra loro. “Ha ragione Admeto quando dice che non è la stessa cosa se muore un giovane o un vecchio? Oppure Farete, quando dice che la differenza di età non conta, se si parla di vivere o di morire?”. Nessuno di loro ha completamente ragione o torto, così come oggi le opinioni sul diritto alla vita sono diverse e opposte. Euripide poi farà finire la tragedia con il ritorno di Alcesti dal regno dei morti (grazie all’intervento di Eracle impietosito dal dolore di Admeto), ma non sarà più lei, e, tacerà per sempre, forse per punire il marito di averle permesso di sacrificarsi. Anche se apparentemente Alcesti ne esce vincente, giacché le è stato permesso di ritornare in vita proprio in virtù della sua generosità e lealtà d’amore, “il contenuto della tragedia rimane sempre tragico: sia Admeto come Alcesti alla fine della vicenda hanno imparato dolorosamente”.
La tragedia non vuole dare delle risposte, ma ponendo delle domande allo spettatore vuole farlo riflettere, mostrandogli anche le contraddizioni che caratterizzano il suo mondo. Ecco allora che trova una giustificazione anche l’antinomia tra le figure femminili forti e positive presentate in molte tragedie ed il ruolo della donna nella società greca. Contraddizioni presenti ancora oggi nella nostra società, in cui la donna pur stimata deve continuamente lottare per avere un ruolo pari a quello dell’uomo. Nella tragedia Alcesti tra figure di uomini mediocri l’unica figura ad emergere positivamente è una figura femminile. Euripide ci presenta all’interno di una cultura maschilista ateniese un modello femminile positivo che risulta in contrasto con il ruolo reale della donna, permettendo ad essa una rivincita all’interno del teatro dove viene rappresentata da esempi di straordinario carattere, di donne che si impongono alle mente e al cuore degli spettatori. Come dichiara il Professor Zanetto “Euripide, è un profondo conoscitore dell’animo femminile; lo si potrebbe definire un femminista ante litteram” e non un misogino come Aristofane e gli altri poeti comici l’avevano definito. Il finale lieto dell’Alcesti di Euripide è solo apparentemente felice, poiché il silenzio della donna è simbolo di una sua presa di coscienza di quanto sia stata usata dagli uomini: dal marito che l’ha indotta al sacrificio, dal suocero che l’ha definita una pazza e da Eracle che l’ha presa con la forza dall’Ade e l’ha riconsegnata al marito. L’unico strumento che le rimane per protestare è il silenzio. Oggi si potrebbe addirittura ipotizzare che nel mondo Greco ci sia già coscienza di quanto fosse orribile e sbagliato esercitare violenza sulle donne, nonostante sia risaputa la loro condizione di inferiorità rispetto a quella degli uomini. Non si può infatti dimenticare la fine delle donne dei vinti nelle Troiane sempre di Euripide, in cui le donne diventavano trofei dei vincitori e divise tra di loro come oggetti. Così come gli dei se desideravano una donna mortale non dovevano far altro che prendersela senza biasimo alcuno. Ma quante donne sono protagoniste delle tragedie greche vendicando con atroci delitti le violenze subite? da Procne, protagonista del Tereo di Sofocle, alla Medea di Euripide che pur di vendicare il tradimento del marito ne uccide la nuova compagna e persino i suoi figli avuti da lui. E qui vanno ad intrecciarsi altri temi assai attuali, dalla liceità, ancora oggi dibattuta nel diritto, di farsi giustizia da sé, agli omicidi dei figli compiuti dai padri o dalle madri per vendetta contro il proprio coniuge, di cui spesso la nostra cronaca ci propone molti casi. Giuseppe Zanetto affronta una dopo l’altra una pluralità di tematiche che hanno le loro radici nel mito antico e che attraverso le tragedie greche possono aiutare anche l’uomo contemporaneo a porsi delle domande personali e/o collettive. Ecco allora rivivere nelle Supplici di Eschilo il tema dei migranti a sua volta liberamente rivisitato nelle sue Supplici da Moni Ovadia nel 2015 per il Festival di Siracusa o dal registra Gabriele Vacis nel suo spettacolo Supplici a Portopalo. Il lettore potrà trovare un invito alla resilienza nel mito di Filottete e nella diversa lettura che ne fanno Eschilo, Sofocle ed Euripide. Tema ripreso anche cinematograficamente in alcune sue dinamiche da Sergio Leone nel suo capolavoro “C’era una volta l’America”, che Zanetto descrive con una grande abilità, tanto da spingere la mente del lettore a fare continui, ma logici salti tra un presente e un passato senza rottura di continuità. Il linguaggio semplice ma preciso e immediato dell’autore rende il testo adatto non solo agli appassionati del mito e della tragedia, ma anche a chi pur non conoscendone i generi vuole accostarsi ad essi per la prima volta alla ricerca di una chiave di lettura da dare alla propria esistenza in un contesto universale che è quello relativo alla storia dell’uomo e ai misteri che lo circondano, riflettendo sul valore eterno delle domande che i suoi protagonisti si pongono.
Giuseppe Zanetto, Miti di ieri storie di oggi. La tragedia greca racconta le passioni e il destino del nostro mondo, Feltrinelli editore, settembre 2020, pp. 137, Euro 13,00