Partigiano e scrittore. Beppe Fenoglio amava definirsi così e con queste due parole incise sulla lapide riposa nel cimitero di Alba, accanto al padre Amilcare, ex macellaio, e alla madre Margherita, che lottò ogni giorno perché i figli avessero una vita migliore della sua. Beppe ci riuscì, senza mai abbandonare la terra dove era nato a marzo del 1922 e dove nel ‘44 si unì ai partigiani, combattendo fino alla Liberazione.
Appassionato della lingua inglese e della cultura anglosassone (“Penso in inglese e scrivo in italiano”), che considerava antidoto alla provinciale meschinità fascista, è stato uno degli scrittori italiani più liberi e innovatori, capace di rivoluzionare il linguaggio, lo spirito, il sentire di intere generazioni di lettori. Bellissimi La malora (1954), Primavera di bellezza (1959), Una questione privata (1963), resta Il partigiano Johnny il suo romanzo-cardine, una storia che da una vita piccola – uno studente che dopo l’8 settembre si unisce ai partigiani – riesce a diventare universale. Il libro fu pubblicato postumo, come molti altri, nel 1968. Fenoglio se ne era andato a febbraio del 1963, stroncato da un cancro ai bronchi.
In appena 41 anni di vita era riuscito a produrre romanzi e racconti a getto continuo (la maggior parte diffusi dopo la sua morte), a sposarsi con rito civile dopo un lungo fidanzamento con Luciana Bombardi e a mettere al mondo, nel 1961, la figlia Margherita, oggi brillante avvocato. Proprio lei di recente ha celebrato il ricordo del padre perso quando aveva appena due anni, sottolineandone lo strettissimo rapporto con la sua terra, le Langhe, “per Fenoglio autentica metafora dell’asprezza del vivere”, l’antico disgusto per il fascismo (“Al liceo gli fu assegnato un tema sui rapporti tra impero romano e regime: consegnò un foglio bianco”), il rapporto critico con la Resistenza (“Non ne ha mai negato l’importanza per la democrazia, ma non ne fece l’apologia, pur avendovi preso parte: ne illustrò le debolezze e i nodi irrisolti”) e persino con la scrittura, che pure sconvolse con il suo stile che mescolava sapientemente termini ricercati, parole nuove e dialetto: “Non scrivo certo per divertimento – amava dire – Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata dopo una decina di penosi rifacimenti”.