Quello che mi colpisce, ogni volta che torno a leggere Wislawa Szymborska, la poetessa polacca nobel per la letteratura nel ' 96, è la precisione quasi ossessiva che possiede ogni suo verso, ogni sua parola. La misura e la cognizione della lingua sono i mezzi che Szymborska usa per neutralizzare il caos che governa la realtà e le cose umane. I suoi versi rappresentano una diga che si oppone alla casualità e contingenza degli eventi. La poesia, la leggerezza del suo linguaggio, può, a tratti, mettere un po’ d'ordine in questo mondo. Essa è stupore di fronte alla vita, ma non lo stupore estatico della religione, bensì quello euristico e catartico dell'umana conoscenza. Di fronte al caso non si finisce di rimanere contemporaneamente stupiti e attoniti: nominarlo significa renderlo familiare, riconoscerlo quale elemento essenziale della nostra esistenza. Ogni caso, la raccolta che Wislawa Szymborska diede alle stampe nel 1972 ( e che il raffinato editore Scheiwiller propone nella traduzione italiana di Pietro Marchesani), fu definita, allora, una sorta di ' metafisica poetica', e a ragione. La concettualizzazione poetica della sua visione del mondo, Szymborska l'ha espressa pienamente in questo libro. Splendida, d'altronde, la lirica che s'intitola Autonomia, che ha per tema la morte, la separazione, l'abisso, che ' non ci divide, ma ci circonda'