Giovedì 25 aprile 2024, ore 7:08

Addio a Franco Cassano

La ricchezza di prospettive da una visione confinaria

di ENZO VERRENGIA

La scomparsa di Franco Cassano è un evento traumatico per la cultura italiana post-moderna. Si tratta di una perdita destinata ad aprire un vuoto di pensiero nel dibattito già anemico che caratterizza i decenni seguiti alla grande stagione del trapasso di millennio, quando si facevano i conti con il ’68 e la reazione uguale e contraria del riflusso. Cassano tracciava una nuova rotta, che precorreva i mutamenti apportati dalle nuove tecnologie, dalla rete, dall’esodo biblico in arrivo dal sud e dall’est del pianeta. E lo faceva con una visione trasversale del sapere, che passava per le arti espressive e la speculazione epistemologica. Non a caso, la sua cattedra all’ateneo di Bari era di sociologia della conoscenza. Nella saggistica odierna scarseggiano o mancano del tutto i manuali di etica. Cioè i testi di orientamento spirituale che, all’inizio dei tempi, erano religiosi, quindi filosofici. Certo, abbondano volumi che mettono in discussione le fondamenta del pensiero teologico, scientifico, sociale e politico. Anzi, sono anche troppi, specie quelli di rottura, che disseminano inquietudini e frantumano le certezze della quotidianità. Ma qui si parla semmai del contrario, di un’elaborazione contenutistica che costruisca, o meglio, ricostruisca l’edificio del presente dopo i continui scrolloni alle sue strutture, per farlo svettare in piani alti che si elevino al di sopra della visione dalla strada senza disdegnarla, semplicemente aggiungendovi prospettiva. Fino a toccare le altezze che una volta ospitavano la saggezza.Singolare che il compito di sopperire a questa carenza toccasse a un sociologo. Perché il senso comune lega ancora questa professione intellettuale a certa mitologia negativa. Trento, la facoltà dei brigatisti, i professori d’assalto e le gambizzazioni. Quando invece la sociologia è scienza nata tra il XVIII e il XIX secolo proprio per definire la modernità nelle sue sfaccettature, e dunque deputata a fornire domande, più che risposte, sulle ragioni dell’etica. Franco Cassano compilò una summa accessibile e per nulla ponderosa della condizione umana ai giorni che sarebbe riduttivo e illusorio definire nostri. Si vive in un tempo e un spazio non sempre riconoscibile. Dove Cassano, per fortuna, delineò uno specifico mediterraneo cui potersi riferire a queste latitudini. Lui usava l’aggettivo “meridiano”, rifacendosi a La pensée du midi, il pensiero del mezzogiorno, caldo e luminoso (illuminista?), che Albert Camus contrapponeva a quello nordico e freddo nel suo libro L’uomo in rivolta. Le coordinate, che Cassano restituì in un quadro geopolitico ed etnografico, erano la ricchezza di prospettive offerte da una visione confinaria, la solarità che contagiandosi alla disposizione interiore stempera l’apocalisse in realismo delle catastrofi, i ritmi rallentati che oppongono alla velocizzazione artificiosa un andamento più consono al fisico e alla mente. Cassano non lesinava interventi accorati sul tema, specie quando fu chiaro che l’arrivo dei migranti non trovava nella penisola un adeguata preparazione, sia in termini di accoglienza che di riflessione allargata. Le parole del sociologo, staccate dalle occasioni originarie acquisivano sempre lo spessore di parabole morali sulla contemporaneità. Cassano aveva modo di tornare sui punti cardinali del paesaggio meridiano, e nel contempo viaggiarne al di fuori, in una ricognizione epocale che riguarda tutti, da sud a nord del pianeta. Dal confronto delle razze e delle culture all’enfasi del mercato, dall’invadenza dell’elettronica all’idolatria dei consumi che trasforma le città in agglomerati di vetrine, tanto più desolata ora che imperversa la pandemia, dalla capitolazione della politica ai piedi dell’economia (o degli interessi) al ruolo di un pensiero nonconformista, l’autore squadernava le pecche di un moderno che ha troppi difensori e detrattori ma pochi interlocutori disposti a capire. Soprattutto per ritrovare attenzione verso tutto quanto messo ai margini dai dettami dell’informazione spettacolo. Quella che trascura, nella parossistica esaltazione di modelli vincenti, cosa accade ai perdenti. Il filo rosso che attraversava il Cassano-pensiero era l’attenzione allo specifico peninsulare. Intrecciato com’è ai temi di un’innovazione che vorrebbe trascinare chiunque, senza tenerne in conto carattere, esigenze e metabolismo. Carenze che in questi giorni di apocalisse cronica risulta sempre più evidente. L’Italia è un Paese che si forma alle pendici alpine per poi allungarsi nel Mare Nostrum, da non intendersi più nell’accezione del dominio imperiale romano, bensì come autentica multiproprietà geografica e ideale. Questo dualismo crea l’anomalia di un territorio che deve trasferirsi in Europa senza rinunciare alla collocazione naturale. «Gli altri popoli si imbattono in problemi oggettivi», argomentava Cassano, «noi invece in quello di essere italiani; per i primi diventare europei significa rimanere a casa, mentre per noi significa traslocare». Era uno dei segnali lanciati a quelli che, in tutti gli schieramenti, vedevano l’emulazione della gelida produttività un imperativo categorico, il cui fine supremo era la quadratura dei conti, nella bilancia dei pagamenti e sullo scacchiere di un pianeta-azienda, dove le nuove guerre erano la concorrenza. Cassano suggeriva soluzioni di confronto che partissero dalle radici, evitando l’errore del sovranismo. All’Europa, l’Italia può proporre la giocosità che diviene inventiva sul campo. La capacità di mediare, trasferita dai rapporti interpersonali a quelli internazionali, contribuendo in modo decisivo a evitare i nuovi bagni di sangue che si prospettano e avverano a est e a sud. E sul versante della riconciliazione e della pace, Cassano, da laico, non minimizzava affatto l’autorevolezza determinante della Chiesa, e in questo precorreva l’ascesa di una personalità come quella di Bergoglio. Per poi concludere con un elogio tutt’altro che sommesso di certe peculiarità tutte meridionali, che divengono vere e proprie “terapie. Cassano ripropone i cardini del suo sistema etico in un breviario della serenità. La capacità di «giocare dolcemente con la giornata, decidere che ne puoi perdere un pezzo perché lo vuoi guadagnare», quando celebra la voglia di passeggiare. Il gusto fisico del sole, da non considerare unicamente sotto le categorie allarmate degli studiosi che predicono l’avvento del deserto per colpa dell’inquinamento. La voglia di non rinunciare ai pomeriggi di primavera, dato che, comunque, la vita non ne riserva poi tantissimi. La «nobiltà del cazzeggiare». E si tratta di precise indicazioni sull’ipotetico assetto di una civiltà ed una società che non hanno paura di ritrovarsi associate ai «fratelli del sombrero», gli altri popoli snobisticamente relegati nel novero del sottosviluppo, dimenticandone i portati di buonsenso e armonia esistenziale. La scrittura saggistica di Cassano scivolava ad ogni passo in un lirismo riflessivo ai confini della letteratura. Si veda la sua favola alla Calvino su un atomo che decide di darsi nome e cognome, a simboleggiare l’esigenza di ritrovare l’identità in un mondo che spersonalizza, e rapidissimi quanto indelebili spaccato interiore che potevano valere da autobiografia collettiva: la sincerità e l’onestà in azione. Il tutto supportato da una ricchezza di suggestioni e citazioni che andavano dai testi specializzati, al cinema, al romanzo e alla musica leggera che, lo dice l’aggettivo stesso, alleggerisce, pur senza divenire pervasiva e ulteriore predatrice di quel bene perduto che è, come avvertiva Cassano, il silenzio. La sua produzione di pensiero non è riducibile agli scritti. Bisogna tenere Cassano a portata di cuore negli istanti, come quelli attuali, di maggiore interazione con la Storia, per ricordarsi, prima di qualsiasi soluzione azzardata, che c’è sempre tempo di meditare, che ne vale la pena, perché l’esistenza non dovrebbe essere più considerata nei suoi approdi, bensì in se stessa, nel piacere del suo viaggio.

( 23 febbraio 2021 )

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