E se una morte sospetta non nascondesse un delitto, bensì un universo di persone e circostanze che sembrano la versione contorta del ballo dei Guermantes con cui Marcel Proust conclude “Alla ricerca del tempo perduto”? Per trovare la risposta, si sfogli pagina dopo pagine e si segue riga per riga “Chi dice e chi tace”, di Chiara Valerio, uno romanzo che sbaraglia molta pseudoletteratura lacrimosa fatta apposta per vincere immeritatamente premi di tendenza.
Eppure qui le lacrime non mancano, ma sono compresse dietro i pensieri che insegue Lea Russo, avvocato di Scauri, Latina, dopo la scoperta del cadavere di Vittoria Basile, annegato in una vasca da bagno. Di chi sono queste spoglie? Vittoria è arrivata venti anni prima nel borgo marino della costa tirrenica, ai confini tra Lazio e Campania. Si è fatta amare da tutti acquistando un immobile poi trasformato in un giardino di delizie erboristiche. Insieme a lei c’è Mara. La differenza di età fra le due farebbe pensare a un rapporto materno e filiale, magari da adozione. Se non fosse che si tratta di una coppia. Scauri lo accetta in un’epoca ancora lontana dall’acquisizione culturale della tematica LGBTQIA+. Vittoria diventa la beniamina di tutti, anche per una sorta di potere sciamanico esercitato con le erbe. Poi è bella, suscita desideri anche etero, specialmente nei giovani.
Lea non accetta che tanto vitalismo si sia improvvisamente smorzato per sempre. La vasca da bagno di Vittoria domina il corridoio della villetta di via Romanelli. E Mara, davvero non sa se sia stato un incidente, un malore o un suicidio?
A Scauri giunge l’avvocato Giorgio Pontecorvo d’Aquino, per occuparsi della burocrazia mortuaria, e si scopre che era il marito di Vittoria, mai divorziato. La donna, inoltre, era un’oncologa specializzatasi negli Stati Uniti. Ambedue romani.
Per Lea si fa sempre più incalzante quel ballo di nomi conosciuti e non, il dualismo della sua vita di legale e madre di Giulia e Silvia, sposata con Luigi, insegnante di fisica dall’integerrima e calcata fede comunista. Si accentua, nella rievocazione di quanto ha preceduto il luttuoso evento, il divario che separa la sua esistenza di madre dalla creatività comportamentale di Vittoria, sorta di Oscar Wilde al femminile. Sullo sfondo di un’iconografia spesso pasoliniana, si insinuano squarci di realismo magico che rimandano a Isabel Allende e al Macondo di “Gabo” Marquez.
Chiara Valerio snoda la ricerca della verità da parte di Lea in un crescendo di suspense, dove la funzione dei picchi inattesi non viene assolta da effetti speciali narrativi. All’autrice basta porgere il dipanarsi dei fatti così come Lea li acquisisce o, al contrario, li disvela ripescandoli dal suo scrigno personale di memorie, trazioni ancestrali, desideri che trova il coraggio di confessare.