Molti non condivideranno questa interpretazione e porteranno come prova quel manifesto di disagio storico, metafisico, esistenziale che è “La persuasione e la rettorica”, il capolavoro filosofico di Michelstaedter, in realtà la sua tesi di laurea terminata poco prima della morte.
Ma l’operazione del libro è interessante, per la metodologia indiziaria con cui è condotta l’indagine, e se uso il termine indagine è perché da un fondo oscuro di fisiologica dimenticanza, di oblio culturale, di riservatezza, forse di occultamento consapevole, vengono tirate fuori informazioni importanti di cui nemmeno lo studioso di Michelstaedter è probabilmente a conoscenza. Non so se riscriveranno la vicenda umana e filosofica di questo singolare personaggio che si intreccia con lo spleen di un’epoca, ma tant’è.
Dai testi ufficiali (l’Epistolario, soprattutto) a documenti di ogni tipo, ignoti o ignorati, lettere, appunti, schizzi, disegni, memorie orali, pareri medici, cartelle cliniche, ricordi degli eredi, cataloghi, oggetti familiari, luoghi degli affetti, privati e pubblici, strade, case e palazzi: tutto viene scandagliato con la lente d’ingrandimento per far emergere un altro autore, un’altra vita. Ma anche per costruire un racconto nel quale la ricerca di una verità oggettiva sul caso Michelstaedter, a 110 dalla morte, è rivelatrice di una ricerca di sé, del proprio modo di stare al mondo, di una propria sincera persuasione.
C. Pradella, 110. Carlo Michelstaedter e il tempo della verità, Ensemble, 2020, pp.251.