Venerdì 19 aprile 2024, ore 9:34

Arte

La Venere degli stracci

di ELISA LATELLA

Possono l’arte, la letteratura, il cinema, raccontare la crisi economica che da oltre vent’anni dilaga in tutto il mondo, che ha trasformato il ceto medio nel ceto povero ovunque? Provarci è facile, riuscirci è tutt’altra cosa. Perché si tratta di rappresentare una povertà che non ti aspetti, che arriva all’improvviso, che ti priva di tante cose che prima davi per scontate. Il neorealismo racconta il secondo dopoguerra. Oggi invece la povertà è arrivata in Occidente senza nessuna guerra visibile o presente sul posto. I conflitti sono stati combattuti altrove, in quella lontana Africa da cui fuggono migranti, o in borsa, dove la finanza speculativa ha spesso distrutto l’economia reale. Negli ultimi tempi la guerra ha addirittura le dimensioni meno che microscopiche, ma letali, di un virus, capace di sterminare migliaia di persone che, ignare, avevano dato semplicemente una stretta di mano. E capace di renderne poverissime molte altre. La povertà che arriva così come la si racconta? Un’idea di questa sensazione riesce forse a darla la Venere degli Stracci, – ideata nel 1967 da Michelangelo Pistoletto– che sarà ospitata fino a dicembre presso il Gruppo Abele, in uno spazio, la Fabbrica delle E, in cui l’arte incrocia le storie di donne e uomini, piccoli e grandi, italiani e migranti. Sarà lo sfondo di tante iniziative portate avanti con Dipartimento Educazione Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto e Rete Ambasciatori Terzo Paradiso. La Fabbrica delle E è un ex capannone industriale che fino alla metà degli anni Settanta ospitava l’azienda Cimat (Costruzioni Italiane Macchine Attrezzi Torino), parte dell’indotto Fiat. Da giugno 2002 è diventata la sede ufficiale dell’associazione Gruppo Abele. La lettera “E” del nome indica la volontà di trasformare, dentro le proprie mura, le tante, troppe “O” che nella quotidianità dividono, in “E”, capaci di promuovere incontro, scambio, inclusione. Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera ha affermato: "Nella Venere degli Stracci io vedo una provocazione politica. In quegli stracci io vedo le moltitudini dei migranti, dei rifugiati, degli esclusi". Il museo d'arte contemporanea del castello ospita quest’opera le cui forme dell'arte classica contrastano con la miseria della vita moderna. E ancora, prosegue don Ciotti: "in quest’epoca le povertà sono cresciute a dismisura, hanno toccato livelli mai visti nella storia. E gran parte dell’umanità vive da stracciona, privata di dignità, di lavoro, di libertà”. La Venere degli stracci – in cui si scontrano l’arte, la povertà e la cultura di consumo contemporanea –è già stata accolta in luoghi simbolo di emergenza sociale, come Lampedusa, il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Roma, il complesso della chiesa delle Gianchette a Ventimiglia . E’ realizzata in cemento e abiti usati e si tratta di una delle più note installazioni del maestro di arte povera degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Una Venere classica rivolta verso un cumulo di stracci a forma di igloo, che dà le spalle ai visitatori impedendo loro di vedere la parte anteriore. Perché la povertà si vergogna. L’idea classica di bellezza cerca qualcosa da mettersi addosso in un cumulo di abiti dismessi. Nella versione originaria la statua è un calco in cemento di poco valore, ispirato a Venere con mela, opera realizzata nel 1805 da Bertel Thorvaldsen, scultore neoclassico danese, visibile presso il museo del Louvre di Parigi. La prima versione è conservata presso la Fondazione Pistoletto di Biella. Altre copie si trovano presso il Museo di Arte contemporanea di Rivoli in provincia di Torino, presso la Tate Gallery di Liverpool, presso la collezione De Bernardi e la collezione Lia Rumma di Napoli, in Germania e nella collezione Giuliana e Tommaso Separi di Milano (quest’ultima in prestito al castello di Rivoli), al Toyota Museum of Contemporary Art in Giappone e al Hirschhonn Museum di Washington. Una versione del 1974 è realizzata da artigiani toscani in marmo greco con mica. Nella Venere degli stracci ci sono tanti opposti: il duro del cemento ed il morbido della stoffa, le forme femminili e il cumulo di roba informe, la mancanza di colore nel cemento e la presenza di tutti i colori nella montagna di vestiti, la storia antica e la triste contemporaneità. Vedo in quella Venere – ha affermato di don Ciotti – la bellezza che potrebbe sorgere se fossimo in grado di accoglierli, di ospitarli come fratelli in una società giusta e solidale. Sentendo sulla nostra pelle le loro ferite e le loro speranze”. Anna Pironti, responsabile capo del Dipartimento Educazione Castello di Rivoli, ricorda che “già sul finire degli anni Sessanta, la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto apriva a una diversa prospettiva artistica, creativa ma anche politica. La Venere, rinunciando a esibire il suo primato estetico, proponeva una nuova visione dell’arte, della vita e della responsabilità sociale».

( 4 marzo 2021 )

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