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Mostre

Le donne di Boldini

di PAOLO SPIRITO

Era un artista ultra chic, in suo modo particolare, specialmente quando ritraeva lungiformi signore dell’alta società internazionale che appaiono dipinte come sotto un vetro traslucido. Esperto di quel mondo e della letteratura francese che lo ha rappresentato, interpretava molto bene la più alta eleganza femminile in un’epoca in cui era anche troppo rivestita dagli artifici dei sarti e delle modiste, figurativamente legata in pose ambigue che stanno tra il salotto e il teatro. Ma quei ritratti hanno un forte potere d’incanto: rivelano spontanee e sicure doti di pittore…”, così scriveva di Giovanni Boldini il critico d'arte Bernard Berenson nel 1958.

Tra i più virtuosi e fecondi pittori del suo tempo, Giovanni Boldini (1842-1931) seppe cogliere l’essenza di un ambiente sfolgorante, di cui fu uno tra i più importanti ed acclamati protagonisti.

Si torna a parlare di Giovanni Boldini in occasione della Mostra che si sarebbe dovuta inaugurare il 14 novembre 2020 al MART di Rovereto (TN), Giovanni Boldini. Il Piacere, da un'dea di Vittorio Sgarbi, curata da Beatrice Avanzi, curatrice Mart, esperta in arte italiana dell’Ottocento e del Novecento, e da Tiziano Panconi, specialista dell’opera di Giovanni Boldini al quale ha dedicato studi, mostre e pubblicazioni.

Rinviata causa l'emergenza della Pandemia Covid-19, dal 18 gennaio scorso ha finalmente aperto al pubblico, raccontando il fascino senza tempo della Bélle Epoque, i caffè mondani, gli abiti da capogiro, l’eleganza della borghesia, il vaporoso romanticismo dei salotti immortalati dal più grande ritrattista dell’epoca: Giovanni Boldini.

170 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali appartenenti al patrimonio del Museo Boldini di Ferrara, chiuso al pubblico dopo il terremoto del 2012.

Da Ferrara a Parigi, passando per Firenze e Londra, il maestro italiano studia Raffaello, frequenta i Macchiaioli e il Caffè Michelangelo di Firenze, conosce Courbet, Manet, Degas e, stabilitosi definitivamente a Parigi, si afferma come uno degli artisti più richiesti. Grazie anche a una spiccata intraprendenza e a notevoli doti relazionali, Boldini diventa il pittore dei ritratti di società. I suoi dipinti finiscono per descrivere e allo stesso tempo definire lo stile, le tendenze e l’estetica della Ville Lumière, indiscussa capitale europea.

Tanto che il pittore Jacques-Émile Blanche scrive: “Boldini, disegnatore prestigioso e squisito colorista, accumula piccoli pannelli sui quali la vita di Montmartre, il movimento della place Pigalle, sono resi con una maestria che entusiasmò Degas e Monet”.

Nelle effigie di nobildonne, attrici e intellettuali incontrati nei salotti della Parigi fin de siècle, rivive il fascino di una società raffinata ed elegante. I cronisti dell’epoca descrivono donne vestite alla “Boldini”, “canoni della bellezza boldiniana” e individuano nei suoi quadri una femminilità “suprema e irresistibile” ma anche “ingenuamente pudica”.

Le donne, protagoniste indiscusse della Belle Époque, trovarono in Boldini un interprete d'eccezione, capace di raccontare la femminilità ritrovata, declinata in sottili giochi di seduzione e ambiguità, di vizi privati e pubbliche virtù, di risvolti torbidi e delittuosi.

“La donna è senza dubbio una luce, uno sguardo, un invito alla felicità, e talvolta il suono di una parola; ma soprattutto è un'armonia generale, non solo nel gesto e nell'armonia delle membra, ma anche nelle mussole, nei veli, negli ampoi e cangianti nembi di stoffe in cui si avvolge, che sono come gli attributi e il fondamento della sua divinità”.

Con queste parole Charles Baudelaire nel 1863 cantava l'essenza della femminilità a lui contemporanea, anticipando in qualche modo il fascinio altero e magnetico delle donne boldiniane.

Donne che si pettinano, donne alla toeletta, che danzano o si adagiano languide e sensuali su morbidi cuscini di seta, donne dai seni piccoli e dalla vita strizzata in rigidi busti di stecche di balena (i famosi “vitini di vespa”), donne in vaporose mise di chiffon che amano trascorrere esistenze dorate fra i suoni e i divertimenti di una società fatta a loro immagine e somiglianza.

Femmes fatales sensuali e seducenti, belle tra le belle, alle quali Boldini, nella sua casa-atelier in Boulevard Berthier, non esitava a rifinire i fianchi, assottigliare i colli, tornire gli zigomi e gonfiare le labbra, sembre molto attento ad assecondare e lusingare le sue affezionatissime clienti, che così non esitavano a ricompensarlo facendo aprire i portafogli dei mariti becchi o degli amanti di turno.

“Piscia quadri quasi ridendo” disse di lui il critico Diego Martelli, alludendo alla prolificità del little italian; paesaggi della Senna, vie e carrozze della Ville Lumiere, cavalli bianchi e impennati o neri e furenti, ma soprattutto ritratti, ritratti di colleghi pittori, di musicisti, di politici, di donne, contesse, amiche o amanti.

Dal punto di vista pittorico, l’artista persegue continue innovazioni e repentine trasformazioni: con i suoi vortici di pennellate lunghe e vibranti, le cosiddette sciabolate, ferma sulla tela immagini simili a fotogrammi. Scatti mossi, ripresi in divenire, fissano la dinamicità del passaggio fra un’azione appena compiuta e un’altra appena cominciata.

Boldini traduce e raffigura la vitalità e la concitazione di un’epoca in pieno fermento sociale. Coinvolge le sue muse, complici loro malgrado di un sottile gioco psicologico, riuscendo a metterne in evidenza sia gli aspetti più sensuali e conturbanti, sia le fragilità. Come scrive l’amico caricaturista Sem (pseudonimo di Georges Goursat): “Boldini era il pittore della sua epoca, dipingeva le donne coi nervi a pezzi, affaticate da questo secolo tormentato. […] Tutti questi brividi, questi tremori, queste contrazioni, sono in sintonia con quest’epoca di nevrosi.”

Nella mostra Giovanni Boldini. Il Piacere l’attività del pittore italiano viene ricostruita nella sua completezza attraverso un ricco percorso cronologico, che lascia spazio all’approfondimento di alcuni temi e relazioni che ne hanno segnato la lunga e proficua carriera. In particolare, in mostra vengono analizzati i rapporti con il poeta Gabriele d’Annunzio, attraverso figure di comuni muse ispiratrici come la “Divina Marchesa” Luisa Casati, colta e trasgressiva, interprete per antonomasia dell’eleganza e dell’eccentricità della Belle Époque.

Irrequieti pionieri nelle rispettive arti e sofisticati interpreti della cultura dell’epoca, Boldini e d’Annunzio si incontrarono in poche fortuite occasioni, ma furono numerose le amicizie in comune, i caffè, i salotti, i circoli e i teatri frequentati da entrambi. Figli dello stesso tempo, contribuirono a costituire un’estetica che fu una vera e propria nuova visione del mondo, “nutrendo il culto della bellezza […] quale sunto di eleganza e stile di vita, imprescindibilmente legato alla valorizzazione dell’arte, della cultura e dell’io” (Tiziano Panconi, dal saggio in catalogo).

La mostra prende avvio con i primi lavori realizzati nella natia Ferrara, influenzati dalla cifra espressiva del padre Antonio - che avvia e incoraggia il giovane Giovanni -, dai modi di Gaetano e Girolamo Domenichini e dagli esempi dall’antico di Palazzo Schifanoia.

Nel 1864, in pieno Risorgimento e in un’Italia appena nata, Boldini si trasferisce a Firenze e aderisce ai moti dei Macchiaoli. Velocemente instaura scambi e collaborazioni con Telemaco Signorini, Vito D’Ancona, Cristiano Banti e Giovanni Fattori. La luce potente della “macchia”, con le sue forti contrapposizioni chiaroscurali, rimane per Boldini una sorta di ossatura compositiva sulla quale si innestano via via i successivi aggiornamenti stilistici. A Firenze Boldini frequenta anche il pittore Marcellin Desboutin, che alla villa dell’Ombrellino ha dato vita a un vero e proprio avamposto della cultura francese in Italia.

Nel 1871 l’artista si trasferisce a Parigi dove in breve si lega al potente mercante Adolphe Goupil. Il cosiddetto periodo “Goupil” (1871-1878) è fra i più proficui: Boldini si misura con l’aggiornamento di un genere di grande fortuna nella Francia del secondo Ottocento, quello della pittura d’interni, prevalentemente con ambientazioni settecentesche o stile Impero. I dipinti di questo periodo, di piccole dimensioni e di stretta osservanza realista, sono caratterizzati da una ricerca stilistica innovativa che li rende “leggerissimi”, sfumati con effetti vaporosi.

Il sodalizio con Goupil si interrompe e Boldini intensifica i suoi rapporti con l’alta borghesia e con la nobiltà parigina: frequenta gli ambienti più esclusivi e intreccia importanti relazioni con figure di spicco del mondo culturale, come quella di Edgar Degas.

Negli anni Ottanta la sua produzione evidenzia un crescente interesse per il genere del ritratto. Protagoniste donne bellissime e sensuali che Boldini incontra nei salotti culturali e mondani e che rappresenta prevalentemente con la tecnica del pastello su tela. La tradizionale compostezza dei soggetti viene sostituita da visioni dinamiche che l’artista ottiene grazie alla sua spontanea “gestualità pittorica” che imprime un ritmo incalzante e palpitante alle pennellate, cariche di tensioni emotive.

A partire dagli anni Novanta, entusiasta dell’ambiente altolocato nel quale è ormai protagonista indiscusso e che gli garantisce numerose commissioni, Boldini intensifica la produzione di ritratti a grandezza naturale. “È qui che Boldini si è rivelato maestro perché […] le sue figure di grandezza naturale danno l’istantanea sensazione d’aver dinnanzi degli esseri vivi” scriverà il critico d’arte Vittore Grubicy nel 1889.

Tra i tanti volti in mostra, si possono riconoscere i celebri ritratti della contessa Gabrielle de Rasty, dell’attrice Alice Regnault, di Emiliana Concha de Ossa, di Madame Veil-Picard, della contessa de Leusse,della principessa Eulalia di Spagna.

Per favorire l’immersione del visitatore nelle atmosfere boldiniane, il percorso di visita è accompagnato da una sonorizzazione site-specific realizzata per il Mart dal pianista e compositore Cesare Picco e dal violinista Luca Giardini.

In sei delle dodici sale della mostra risuonano musiche originali, sottotracce del percorso espositivo: si tratta di una vera e propria amplificazione sensoriale sviluppata grazie a sollecitazioni acustiche e musicali. I modelli armonici, melodici, timbrici e gestuali della musica al tempo di Boldini sono il punto di riferimento delle composizioni attualizzate per l’occasione attraverso l’improvvisazione tonale, la registrazione ambientale, la digitalizzazione, la musica elettronica e la musica concreta.

L’esposizione è accompagnata da un ricco catalogo con saggi di Vittorio Sgarbi, Beatrice Avanzi e Tiziano Panconi, di Pietro Di Natale (direttore della Fondazione Ferrara Arte), di Giordano Bruno Guerri (direttore della Fondazione Vittoriale degli Italiani e membro del Comitato Scientifico del Mart) e degli storici dell’arte Elena Di Raddo, Leo Lecci, Marina Mattei, Gioia Mori, Lucio Scardino.

 

 

( 14 febbraio 2021 )

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