Con la morte di Alain Touraine si apre un’altra voragine incolmabile nella cultura, nella conoscenza e soprattutto nell’analisi ad ampio raggio delle cose e delle persone. La sua sociologia, infatti, non era legata ai cosiddetti “trends”, e rifuggiva certe militanze iconoclaste tipiche soprattutto degli americani inebriati di controcultura ed effetti psichedelici degli anni Sessanta. Scriveva nel suo libro più rappresentativo, “Critica della modernità”: «Oggi sappiamo per esperienza che il progresso, il popolo e la nazione non si fondono nell’entusiasmo rivoluzionario per creare una forza storica alla quale le barriere erette dal denaro, dalla religione e dal diritto non possono resistere. Questa sintesi storica vagheggiata nell’era delle rivoluzioni non si è mai realizzata spontaneamente… Essa ha dato origine soltanto al potere assoluto dei dirigenti rivoluzionari che si sono identificati alla purezza e all’unità della rivoluzione».
Non è un atto d’accusa ma la semplice presa d’atto di un processo che stava – e sta – sotto gli occhi di tutti, ma che da nessuno o da pochi è stato mai ammesso, sulla scorta di uno studio imparziale e privo, ad esempio, delle folgori reazionarie di Oswald Spengler. Alain Touraine distillava la sua visione dagli studi compiuti all'École Normale Supérieure di Parigi, dove acquisì le solide basi di una carriera accademica che lo proiettò in cattedre prestigiose a Harvard, alla Columbia e a Chicago, per diventare infine direttore dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Tutt’altro, quindi, che un’attrazione vivente del circo equestre in cui la pervasione dei media ha trasformato perfino la cerchia del pensiero avanzato a cavallo dei millenni.
Alain Touraine lascia un’eredità bibliografica che abbraccia tutto quanto oggi sia possibile utilizzare per comprendere il paradigma evolutivo della società avanzata. Senza di lui, non si sarebbe mai arrivati alla formulazione di un termine come “permacrisis”, che definisce l’apocalisse permanente di un’umanità pervasa da una catastrofe endemica. Sulla quale fu lapidario: «Il cambiamento del mondo non è soltanto creazione, progresso. Esso è prima di tutto e sempre decomposizione, crisi».