"Roma, con tutte le sue brutture e i suoi inganni, era diventata troppo pesante da sopportare”. Questa frase è una delle più emblematiche del libro “ Il fattaccio di Ponte Milvio”, scritto da Mariano Cigliano e pubblicato dalla casa editrice L’Airone.
Un giallo che si potrebbe definire in stile classico, la cui particolarità è che i vizi del protagonista, l’avvocato Carlo Manfredini, riflettono quelli della capitale, in un gioco di specchi in cui le debolezze umane sono quelle della società, e sono le vere e proprie protagoniste del testo.
Le debolezze sono pericolose perché possono disgregare ciò che di prezioso c’è in una vita ( un matrimonio, una famiglia, una carriera) e trascinare in giri pericolosi.
Che si tratti di alcol, di droga o di altro, tutto ciò che crea dipendenza rende fragili, ricattabili.
Ne emerge il quadro variegato di una giostra di personaggi, in cui “ la Roma bene” ne esce come la vera sconfitta: un giudice, un commissario, un avvocato appaiono bravi solo a vendere il loro ruolo e rimangono incastrati nel loro gioco, battuti sul loro stesso terreno da figure ritenute assolutamente marginali nella società: trans, prostitute, migranti.
La scrittura è scorrevole, l’intreccio abbastanza interessante, la lettura piacevole; forse sarebbe stata utile solo qualche sfumatura in più, per far diventare davvero i personaggi persone.
Il protagonista è inizialmente un debole che riesce faticosamente a uscire da un tunnel nel momento in cui si rende conto che sta perdendo tutto; gli altri personaggi, pur non risultando troppo incisivi, né in ciò che sono né in ciò che diventano, si presentano pregevolmente da soli, parlando e agendo.
Il titolo – capace di suscitare subito interesse, come un titolo di giornale- spiega che la storia in realtà racconta la Roma di oggi, e quei lucchetti amorevoli sul Ponte Milvio rappresentano sentimenti davvero rari da trovare. La capitale rimane sullo sfondo, si intravede da lontano, tra vizi non troppo privati e poche- troppo poche- pubbliche virtù.