Domenica 13 luglio 2025, ore 10:28

Cinema

Un film arcaico

di ARMANDO LOSTAGLIO

Piccolo corpo della trentaduenne triestina Laura Samani è un film arcaico, di quelli che lasciano un segno, come quelli di Ermanno Olmi che fanno della lingua e della terra, dell'acqua e del fuoco, di neve e di legno, la cifra espressiva di una umanità nascosta ormai nelle pieghe consunte della modernità. Questa è la sfida di questo piccolo grande film "da festival" (probabilmente non per tutti).

La sfida di una giovane autrice che ama (evidentemente) cimentarsi con il primigenio più sublime per parlare d'amore (materno e non solo) e del mondo in cui viviamo, talvolta senza esserne consapevoli. "Se non hai un nome è come se non esistessi": ed è su questa ricerca mistica di identità che la giovane madre - cui la natura le strappa il bambino che viene alla luce senza respiro e dunque destinato al Limbo benché non battezzato - intende intraprendere la propria rivoluzione, contro i retaggi del medioevo latente, contro la natura stessa - leopardianamente matrigna - cui intraprende una battaglia che oniricamente (solo oniricamente) vincerà. Il finale è da lacrime convinte, frammenti di grande cinema in un isolato luogo alpino che respira neve ed espressioni ladine.

“Nasce quasi per caso – sottolinea la regista, che lo ha scritto con Marco Borromei ed Elisa Dondi - l’idea di Piccolo corpo, dalla scoperta di una vecchia tradizione popolare che voleva il Santuario in cima a Trava, minuscola frazione del paesello di Lauco fra le montagne udinesi della Val Dolais, come sede di ripetuti miracoli. Un luogo, diceva la leggenda, in grado di resuscitare per un solo momento i bambini nati morti, giusto per il tempo di un respiro, giusto per il tempo di dare loro un nome con il Battesimo, giusto per il tempo di salvare per lo meno le loro anime, consentendo loro l’accesso nel Regno dei Cieli. Il più dolce e dolente possibile fra i doni d’amore di una madre, da meritarsi fino in fondo nel corso di un tormentato e indomito viaggio pochi giorni dopo il parto con in spalla la minuscola cassa della figlioletta, dal mare fino alle montagne, attraversando boschi, villaggi e il buio senza ossigeno di una miniera da cui nessuna donna è mai uscita viva, fra la Venezia Giulia, la Slovenia e il Friuli. Ma soprattutto attraversando una ben precisa cultura secolare di tradizioni e credenze locali, di litanie popolari, di interminabili processioni, di riti propiziatori antichissimi.” Ad interpretare questo straziante film (cui la regia non si sottrae nell’indugio di sequenze per rallentare quel tempo storico già immobile) ci sono attori nuovi ed radicati: Agata la protagonista è la dolente Celeste Cescutti e ancor più Lince, suo compagno di viaggio nel viso androgino di Ondina Quadri.

Elaborazione del lutto, ma anche la forza ancestrale di essere madre e procreatrice cui la Natura oppone i suoi rigori. Istinto sanguigno e di latte versato. Ogni scena è da manuale, con rimandi ai classici come “Ordet” (1955) di Carl Theodor Dreyer e prima ancora a “Atalante” (1934) di Jean Vigo: l’acqua come liberatorio ritorno al grembo, nell’incontro di corpi che diventano anime; un omaggio persino a “La forma dell’acqua” (2017) di Del Toro, come ricerca di libertà e volontà di riscatto. Misticismo e rivoluzione, cristianesimo e credenze pagane.

Laura Samani si rivolge al Vangelo per conferire un’aura di conforto che si ammanti di fede e di speranza: Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio». (Vangelo di Giovanni).

( 5 maggio 2022 )

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