C’è la presenza costante della morte nel libro di Andrea Di Consoli Tutte queste voci che mi premono dentro . Gli amici che incontrava nei caffè bohemien di Roma ormai defunti; gli scrittori fumatori incalliti che se ne sono andati; insegnanti; paesani; poeti che ha amato e di cui si è nutrito scomparsi da tempo; pornodive morte suicide; attori dell’universo hard morti per overdose; una bambina il cui padre viene conosciuto in un paese di poche anime; personaggi a lui cari come Franco Scaglia e molti altri.
Perché in fondo la morte è la verità e rappresenta l’u nica certezza indiscutibile e in questo libro l’autore compie un viaggio interiore e geografico alla ricerca se non di una verità di sicuro di una identità.
Andrea Di Consoli è uno degli ultimi intellettuali italiani. Si badi bene, non uno che assume le pose da intellettuale (di quelli ce ne sono tanti), ma un intellettuale vero. Di Consoli non veste di nero, non indossa sciarpe di seta o cappelli, non assume l’aria di chi sa tutto e potrebbe disquisire per ore sugli inuit e sulla loro estinzione. È un intellettuale puro nel senso che ha dedicato la sua vita a cercare di penetrare a fondo nelle cose, nell’animo umano, nelle tracce lasciate dai grandi carnivori della letteratura italiana e lo ha fatto e lo fa con la fresca curiosità di un bambino. Inoltre è un intellettuale legato alla sua terra d’origine: la Basilicata. Rocco Scotellaro, Vito Riviello, Leonardo Sinisgalli, Albino Pierro e altri hanno significato per lui la poetica di una terra alla quale torna, torna sempre coi suoi scritti e con lo spirito dell’emigrante che ha patito il distacco e la nostalgia.
In questo saggio, questa raccolta di sensazioni, impressioni, ricordi, dolori e ferite, ma anche di crescita politica e culturale Andrea Di Consoli ancora una volta stupisce perché con una scrittura chiara e tutt’altro che sensazionalistica racconta le sconfitte, le illusioni e disillusioni di un giovane giornalista che divorava libri e cercava di restare a galla in un mondo che lo avrebbe voluto collocato nella prospettiva rurale.
E nel leggere il libro ci si accorge che Di Consoli è un intellettuale come ormai non ne sono rimasti perché ha coraggio. Ha il coraggio di denunciare ciò che non funziona, come ad esempio i paesini lucani lasciati morire dall’amministra zione regionale, ma si assume la responsabilità dei suoi cambi di direzione,
di marcia, di casacca. Parla di quando era comunista, quando abbracciò la causa socialista salvo non potersi recare ad Hammamet per incontrare Craxi perché non aveva nemmeno i soldi per un panino da McDonald’s. Racconta la disillusione di lasciare il liceo classico per finire in un tecnico commerciale. Parla degli ultimi, degli umili, di chi non ha voce, di quelli che non sono attrezzati per farcela, i malati, i folli, i poveri, gli sconfitti. Si commuove e al tempo stesso è lapidario su questioni sostanziali come le indagini sull’omicidio di una ragazza a Lamezia. A tratti sa essere struggente, però sempre lucido, forte di un tessuto di amicizie e bagaglio culturale che ha fatto crescere negli anni. Nel libro troviamo anche l’appa rente incoerenza di un laico che però si pone domande metafisiche. Un non credente proiettato verso un mondo che lascia presagire qualcosa che vada al di là dell’umana comprensione. Che riconosce a Padre Pio il potere aggregante in un Sud dove i simboli hanno un significato antalgico, il valore di un crocifisso come quello di Miglionico o il ridimensionamento delle feste popolar religiose come quella della Madonna del Carmine di Campotenese.
E poi ci sono pagine suggestive, che rimangono, come quella in cui descrive il suo incontro con i versi di Umberto Saba. Al momento di lasciare il liceo, un momento di sconfitta, Di Consoli si identifica nel poeta triestino finito anch’egli in un istituto tecnico e molti anni dopo, arrivando a Trieste, chiederà di visitare la libreria amata da Saba. E nitida e particolare è l’immagine che offre dello scrittore e poeta Michel Houellebecq e del suo cambiamento fisico nell’ultimo decennio chiosando… “la letteratura, quando è una vocazione radicale, segna anche nel corpo”. E del corpo dei molti scrittori e poeti morti per via del tabagismo Andrea Di Consoli traccia la discesa negli inferi e lo fa così bene da convincere l’autore di questo articolo a provare a smettere di fumare.
Andrea Di Consoli, Tutte queste voci che mi premono dentro, Editoriale scientifica Napoli – giugno 2021 pp.150, euro 13,00