Ma insomma, Clerville è in Francia o no? Sembrerebbe di sì, visto che le auto della polizia sono Citroën. In tal caso, l’ispettore Ginko dovrebbe pronunciarsi Ginkò. Però i suoi agenti portano berretti a visiera da poliziotti americani, non il caratteristico “képi” francese. La località balneare più vicina è Ghenf… il nome tedesco di Ginevra, città invero lacustre e non costiera. E, comunque, che razza di nazione è mai quella in cui i nomi sono italiani e i cognomi stranieri in modo indefinito, pur senza suonare italoamericani e di sapore mafioso. Per esempio Beatrice Devran, Cornelia Belver, Carlo Fergusson o Filippo Worn. Di certo dev’essere in Europa, perché vi si riconoscono ancora i titoli nobiliari, come accade per la duchessa Altea di Vallemberg, la fidanzata dell’ispettore Ginko. In realtà, luoghi, personaggi e riferimenti della saga di Diabolik ed Eva Kant, dopo l’iniziale ambientazione a Marsiglia, appartengono a un indefinibile contesto anglo-franco-tedesco, dove il tempo sembra non passare mai, fisso in un’eleganza di ambienti e modi che rendono tanto più eclatanti rapine e omicidi ad opera del Nostro. Qualcosa che si riflette innanzi tutto nei titoli, che stemperano il truculento nel melodramma: “Inesorabile morsa”, “Tragico incontro”, “Orchidea rossa”, “Brivido mortale” e via dicendo. Il segreto del successo di Diabolik sta in quest’immutabilità di scenario. Se si prova a leggere una sua qualsiasi avventura è pressoché impossibile capire a che periodo appartiene