Sabato 20 aprile 2024, ore 2:09

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Il 12 maggio del 1923 nasce a Novate Milanese Giovanni Testori, intellettuale poliedrico del Novecento italiano, interprete della realtà storica del suo tempo, capace con la sua sagace intelligenza di portare alla luce le umanità nascoste nel mondo delle periferie, dando voce a coloro che non fanno notizia, in un’epoca in cui gli ultimi sono tali e nulla di più. Scrittore, giornalista, poeta, critico d’arte e letterario, nonché drammaturgo, sceneggiatore, regista teatrale e perfino pittore, esercita contemporaneamente a più livelli le diverse attività artistiche che lo contraddistinguono, al punto da non poter scindere in lui un aspetto artistico rispetto ad un altro. Quando egli crea un dipinto non c’è solo quello, ma c’è l’immaginazione, che prende corpo con la materia, la materia che diventa consapevole con la parola e la parola che prende carne con la voce: mentre scrive disegna, mentre disegna scrive e prima ancora di scrivere pensa alla voce che pronuncerà ciò che scrive. A ricordare la sua poliedricità in occasione dei festeggiamenti per il centenario della sua nascita, che ricorre quest’anno, la Fondazione Testori ha organizzato una serie di iniziative che rappresentano i diversi ambiti di azione dell’intellettuale, buona parte delle quali programmate all’interno della casa di Novate, a cui lo stesso Testori rimane affezionato per tutta la vita. Nata come luogo in cui far rivivere il suo spirito in seguito alla sua donazione da parte della famiglia alla Fondazione, oggi, dopo vent’anni, si può dire che Casa Testori sia divenuta un mausoleo, testimonianza dell’opera dell’artista grazie al ricco archivio che nel corso del tempo si è riusciti a costruire in sua memoria, proprio lì, dove egli ritorna sempre, almeno fino a che la madre è viva. Quando infatti la madre muore la casa viene abbandonata e restituita al pubblico nel 1998 attraverso la nascita dell’associazione culturale Casa Testori. A Novate il padre e lo zio di Giovanni, originari del lecchese, si erano trasferiti con le famiglie nei primi anni del Novecento, e avevano fondato un’azienda tessile, tutt’ora produttiva, limitrofa alla loro abitazione nelle vicinanze della stazione. Ancora oggi i rumori dei telai accanto a quelli del treno risuonano nel giardino e nelle stanze di Casa Testori riportando dal passato i rumori che avevano scandito le giornate e i racconti dell’artista. Nelle sale della casa la Fondazione è riuscita a riportare in vita l’anima dell’artista, grazie soprattutto alle diverse attività e mostre che ruotano al suo interno, con un’attenzione particolare ai giovani artisti verso la cui formazione e promozione Testori aveva sempre dimostrato grande interesse.

Nel 2017 anche la biblioteca dell’artista, composta da oltre 16.000 libri, è rientrata nella casa, distribuita in tutti gli ambienti come una sorta di biblioteca diffusa, perché ogni sua opera non può prescindere dai suoi libri. Come critico, artista e letterato tutto si muove sempre insieme. Collezionista un po’ atipico spesso si libera dei suoi libri come delle sue opere d’arte, regalandole, vendendole o donandole a musei una volta soddisfatto il suo interesse di studioso. Come si libera dei libri, si libera spesso anche dei suoi dipinti quando il risultato non lo convince e a noi oggi di molte sue opere rimangono solo le immagini del loro processo creativo in quando egli amava farsi fotografare mentre lavorava registrando tutte le fasi di produzione di un’opera.

Con l’intento di promuovere la conoscenza di Testori, la Fondazione in occasione del centenario ha organizzato, oltre a numerose iniziative letterarie e teatrali, una serie di tre mostre che si avvicenderanno nei due piani della casa testoriana nell’arco del 2023: una ormai conclusa, di carattere pittorico dal titolo “Testori ritrovato. Dipinti, acquarelli, disegni”, ricca di opere inedite; una seconda prorogata fino al 15 luglio costituita da materiale fotografico d’archivio, e un’ultima a conclusione dei festeggiamenti che, sul solco di una mostra già allestita nel 2015 nata da studi sul testo di Bovesin de la Riva “Le meraviglie su Milano”, coinvolgerà numerosi illustratori contemporanei invitati a rappresentare i diversi personaggi testoriani.

Una tra le passioni di Testori che si può leggere nelle sale della sua Casa è quella legata all’arte figurativa, non solo studiata da lui come critico ma sperimentata in modo diretto.

Il primo approccio dell’artista con la pittura avviene negli anni Quaranta. Dopo aver concluso il percorso liceale presso il Collegio San Carlo di Milano ed essersi iscritto all’Università Cattolica alla facoltà di Lettere nonostante il desiderio paterno che lo voleva architetto, entra a contatto con quello che è il mondo dell’arte figurativa contemporanea. Il Novecento italiano con il suo classicismo si è ormai esaurito durante gli anni della guerra e gli artisti devono fare i conti con le nuove tendenze di colore e linea proposte da grandi pittori del momento, come Matisse e Picasso, e questo è quanto fa anche Testori pittore, prima di trovare un proprio stile e una propria forma. Di matrice matissiana sarà nel 1944 il suo esordio pittorico con una serie di 20 disegni inseriti in un’edizione illustrata delle “Laudi” di Iacopone da Todi pubblicata con Gorlich. Fin dai suoi primi acquarelli giovanili è presente in lui il legame con la sua terra e la sua famiglia. Durante la guerra, costretto a sfollare nella villa di famiglia a Sormano sul lago di Como, improvvisa nel solaio un atelier dove dipinge, osservando la realtà, paesaggi dalle linee dolci sulle orme di Matisse. Passerà poi attraverso gli studi di Picasso, utilizzando la tecnica dell’affresco su compensato, a creare figure stilizzate come emerge da alcuni esercizi grafici intorno al tema della “Deposizione”. Dal 1945 in poi si concentra ancora di più sulla linea, realizzando, influenzato anche dagli studi di Goya, una serie di cinque dipinti dal titolo “Fucilazione”, in cui utilizza l’inchiostro schizzato sulla tela, come fosse il sangue del fucilato. Questo soggetto ispirato dalla lettura di una serie di poesie scritte da Giancarlo Pozzi, suo compagno di classe, sarà ripreso in seguito da altri artisti con cui entra a contatto, come Morlotti, che egli ospita nella sua casa a Sormano durante la guerra, e Gottuso, con cui ha diversi scambi artistici. Nei medesimi anni inizia a nascere anche il suo interesse verso l’arte sacra. Provenendo da una famiglia profondamente cattolica, religione a cui rimane fedele per tutta la vita, egli desidera rivoluzionare l’arte all’interno delle chiese, partendo dal presupposto che essa è cristallizzata dal punto di vista artistico agli stilemi classici riprodotti sia nell’Ottocento come durante tutto il Novecento. Testori come artista, prima ancora che come critico, desidera dare all’arte religiosa una veste più moderna. A testimoniare questo suo desiderio rivoluzionario ci sono alcune prove per un “Serafino” e il “Cristo Pantocrator”, in cui Cristo sembra piuttosto un imprenditore, come suo padre, che un’immagine sacra.

Interessanti nella seconda metà degli anni Quaranta sono alcuni studi preparatori, documentati da una serie di disegni, intorno ai temi della Crocifissione e poi dell’Apocalisse, stilemi poi fusi in un olio del 1949, capolavoro di questo periodo e punto di arrivo della sua ricerca, in cui è raffigurato al centro della rappresentazione un Agnello Mistico che diventa Gesù Crocifisso. La cocente delusione, dovuta all’aspra critica a cui i Padri Serviti della Chiesa di san Carlo al Corso a Milano sottopongono gli affreschi a lui commissionatigli dei “Quattro evangelisti” da inserire nella cupola absidale della loro chiesa, poi coperti perché giudicati inappropriati, lo porta ad allontanarsi alla fine degli anni Quaranta da Milano, ritenuta da lui non ancora pronta per una rivoluzione dell’arte sacra e a non praticare più pubblicamente per un lungo periodo la pittura.

Si sposta così a Torino dove focalizza il suo interesse verso Gaudenzio Ferrari, uno dei più importanti artisti del rinascimento, attivo presso il Sacro Monte di Varallo, luogo da lui definito “uno dei monumenti più inattesi, più grandi ed eccezionali che l’arte del Nord Italia abbia edificato, in chiara, meditata e solenne risposta a quelli che erano i divini teoremi e le divine poetiche degli “uomini d’oro” del Rinascimento italiano”. Testori riprende la sua attività pittorica intorno al 1968, durante la stesura del dramma teatrale “Erodiade”, disegnando a penna stilografica settantatré teste di Giovanni Battista, rappresentando così attraverso le sue riflessioni letterarie e pittoriche le lacerazioni presenti nella società del suo tempo. Le teste del Battista, pubblicate solo nel 1987, in seguito si trasformano in teste di animali, di coniglio, di capretto, di bue, dipinte ad olio, a rappresentare metaforicamente il distacco della coscienza, della ragione e della decisione dalla purezza del corpo.

In questa seconda stagione artistica Testori affronta anche il tema della boxe realizzando una serie di tele a olio e in acrilico con “pugilatori” ritratti soli o a coppie in lotta tra di loro. Siamo nel pieno dei personaggi protagonisti di “Rocco e i suoi fratelli”, film prodotto da Luchino Visconti ispirato ai racconti dell’opera di Testori “Il ponte della Ghisolfa”. I suoi pugili sono dipinti di ampia grandezza e fortemente materici. I colori a olio sono sovrapposti tanto da trasformare i dipinti in scene da plasmare, quasi a trasformare il fondo in una specie di gabbia da cui il soggetto cerca di liberarsi. Tra il ‘71 e il ‘77 organizza tre mostre presso gallerie di amici in cui espone i suoi diversi modelli di pugili. A questo periodo appartengono anche numerose sperimentazioni e disegni sui nudi sia maschili che femminili in cui indaga il corpo umano. Interessanti sono i suoi disegni del ‘73 e ‘74 in cui vi sono dei veri e propri zoom sulle parti anatomiche umane, rappresentate metaforicamente attraverso nature morte.

I suoi studi sui corpi raggiungono la piena maturazione in una serie di nudi femminili su fondo bianco, dove le linee morbide dei corpi sono segnalate semplicemente da ombreggiature lilla, rosa, e azzurre che escono dal bianco, dando l’impressione del volume dei corpi, spesso privi di testa e di arti. Rappresentazioni che si fanno ancora più drammatiche quando aggiunge il colore rosso che emerge dal bianco, a rappresentare i sanguinamenti sugli arti recisi.

Nel luglio del 1977, dopo un periodo di dolorosa malattia, muore la madre Lina, a cui l’artista è molto legato e contemporaneamente alla scrittura di “Conversazione con la morte”, si dedica alla pittura di una serie di nature morte, dando origine ad una delle sue più delicate serie pittoriche: acquarelli dove il colore bianco è steso sul fondo colorato in modo molto pastoso, asciutto a smorzare i toni addolcendo il risultato finale come fosse un pastello.

Riprende l’uso del colore nel 1992 poco prima della morte, quando malato, trasferitosi a Varese, vicino alla sorella, dipinge su piccoli fogli di carta una serie di tramonti: essenziali linee blu che vanno a circondare il cerchio del sole che da giallo si fa progressivamente rosso e sempre più piccolo, proprio come se volesse rappresentare il suo avvicinarsi ormai inevitabile alla fine. Ancora una volta la sua arte è un tutt’uno con la sua esperienza del reale.

Eliana Sormani

(La foto di Giovanni Testori è di @Valerio Soffientini)

 

( 12 maggio 2023 )

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