Negli anni Sessanta dell’800 la natura morta è di moda. Manet ne produrrà in gran copia e deciderà di esporre i suoi quadri alla galleria Martinet nel 1865 e nella sua personale di Avenue de l’Alma nel 1867. In seno all’intera sua produzione le nature morte furono quelle più benevolmente giudicata e accolte: è l’amico Zola ad attestarlo riportando che i detrattori del pittore che godeva già della stessa fama di Garibaldi si arrendono nel riconoscere che Manet sa dipingere bene gli oggetti inanimati mentre toglie valore a tutta la realtà che il suo pennello sfiora. "Le Déjeuner sur l'herbe“, che espone nel 1863 al Salon des refusés, solo grazie al favore di Napoleone III, Manet sa di provocare scandalo per l’impudenza del suo nudo che nessuna cornice mitologica giustifica ma ugualmente impone la modernità della sua visione alla borghesia benpensante parigina che non riesce a comprendere la sua rivoluzione tecnica e di pensiero. Delacroix giudicherà assai sfavorevolmente la prova di Manet definendo aspri i suoi frutti che mai avrebbero maturato. Dopo aver sposato la pianista olandese Suzanne Leenhoff il 28 ottobre del 1863 nuovamente con il suo “Cristo morto e i due angeli” sfida e offende la morale ma si accorge anche di provare una certa stanchezza per la pittura di storia, vuole affrancarsi dalla ‘tirannia’ del soggetto e si dedica con passione alla natura morta che gli concede spazio e sereni esercizi in cui può mostrare più autenticamente la sua espressività elegante con fiori, frutti colti e ritratti in atmosfere neutre, semplici e intime. “Un pittore può esprimere tutto quello che vuole con frutti o fiori e perfino con le nuvole. Già lo sapete, la mia principale ambizione è quella di diventare il San Francesco della natura morta": questo dichiara Manet nel 1864 quando tra vasi di fiori, ceste di frutta e pesci dipinge a olio una tela oggi custodita nella collezione di Mrs F. J. Gould in cui allo sguardo dello spettatore offre uva e fichi. I fichi abitano la storia dell’arte da tempi antichissimi, è il mito a permettere il suo ingresso nell’arte: il mito biblico e classico.