Venerdì 3 maggio 2024, ore 6:21

Intervista 

L’attentato al Papa, il mistero di Emanuela e quei legami con le Br  

D) Peronaci, 40 anni fa l’attentato a Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. In base alla ricostruzione del tuo libro “Il crimine del secolo” (edito da Fandango), chi ha armato la mano di Alì Agca?
R) Quei colpi di pistola esplosi il 13 maggio 1981 ci riportano a uno dei grandi misteri del Novecento. Un giovanotto turco nato poverissimo si presenta davanti alla Basilica simbolo della cristianità e fa fuoco contro il pontefice. Un atto di estremismo islamico o un’azione mirata a mutare gli equilibri geo-politici, sul versante occidentale? L’analisi degli atti e del contesto politico-diplomatico-spionistico porta a concludere che Ali Agca arrivò in piazza San Pietro grazie all’appoggio di qualcuno, i famosi mandanti mai trovati. Un qualcuno da cercare nell’ambito della storica contesa Est-Ovest e alla luce del ruolo assunto in quella fase da Karol Wojtyla, frontman della lotta ai regimi comunisti. L’attentato segnò una svolta nella Guerra Fredda e creò i presupposti della caduta del muro di Berlino. Con ‘Il crimine del secolo’ esamino l’intera macchinazione, le piste via via affiorate e il ruolo opaco dei servizi segreti di vari Paesi che, depistando e inquinando le prove, hanno contribuito a coprire movente e registi dell’azione criminale. La pista bulgara è stata a lungo seguita da giudici come Ilario Martella, che si sono occupati in prima persona anche della scomparsa della cittadina vaticana Emanuela Orlandi e di quella di Mirella Gregori.
D) Il tuo lavoro di investigazione giornalistica sembra propendere per un collegamento tra l’attentato, nel 1981, e la scomparsa delle ragazze, nel 1983.
R) Le indagini andate avanti per quasi vent’anni, le decine di rogatorie e un processo davanti a una Corte d’assise non sono bastati a scoprire i mandanti. Nel libro rivisito tutte le carte, da quelle giudiziarie ai resoconti della commissione parlamentare sul dossier Mitrokhin, e non va escluso che alcune tracce siano state sottovalutate, in nome della ragione di Stato. Si è indagato nel mondo islamico, nell’ipotesi che Agca fosse l’alfiere di una sorta di contro-crociata; all’interno del Vaticano, teatro di non poche resistenze all’ascesa del Papa polacco, contrario alla politica di conciliazione con l’Urss; a Occidente, in quanto sulle prime la provenienza di Giovanni Paolo II alimentò diffidenze ...
D) E naturalmente ad Est…
R) Certo. Il blocco comunista diffidava di Giovanni Paolo II, che conosceva bene i regimi sovietici e quindi era in grado di combatterli più di chiunque altro. Esaminando le tre inchieste, è fuori discussione che ad avere maggiori indicazioni sia stata la pista rossa, secondo la quale Agca sarebbe stato il braccio armato del Cremlino, ingaggiato da Kgb e Stasi, il servizio fratello della Ddr, passando per la Bulgaria, dove i contatti con la mafia turca erano consolidati. Il giudice Martella portò alla sbarra tre funzionari bulgari, tra i quali il caposcalo delle linee aeree, e i perni dell’accusa furono di un certo spessore: la presenza di un Tir a Roma, proveniente da Sofia, il 13 maggio, forse per favorire la fuga dell’attentatore; la debolezza degli alibi degli imputati; i loro collegamenti con Agca, sviscerati grazie alla scoperta di un vertice segreto tenuto in un hotel di Sofia nel 1980; l’interesse del governo bulgaro a influenzare la magistratura italiana, con toni aspri e intimidazioni. Considero il giudice Martella troppo rigoroso e al di sopra delle parti per essersi prestato a strumentalizzazioni politiche. Arrivò a un passo dal dimostrare il coinvolgimento dell’Est, ma le prove non furono considerate sufficienti e i presunti mandanti vennero assolti. Il fatto che lo stesso Martella si sia occupato anche del caso Orlandi-Gregori fa di lui l’interlocutore privilegiato per tentare un’operazione verità che ritengo ancora possibile, nonostante il tempo trascorso.
D) Quali elementi di novità hai raccolto?
R) Il collegamento tra l’evento primario, l’attentato al Papa, e le scomparse di Emanuela e Mirella è il fulcro del mio libro. L’analisi delle rivendicazioni che riempirono i giornali in quella tremenda estate 1983 danno conto di una regia abilissima dietro le varie sigle e di una forte determinazione a osteggiare le indagini verso la Piazza Rossa. Le richieste di liberazione di Agca servivano a tranquillizzarlo e a evitare che facesse i nomi dei mandanti. Le ragazzine vennero allontanate da casa con un tranello per tramutarle in strumento di ricatto. Non a caso, già prima della sparizione di Emanuela, Quirinale e Santa Sede erano stati allertati sulla scomparsa di Mirella. Tale vile operazione s’inquadra nelle tensioni innescate dal tentato omicidio del pontefice, ma resta da capire per conto di chi agirono i rapitori. La chiave fornita da Marco Accetti, superteste e reo confesso del caso Orlandi poi prosciolto, sembrava condurre a prelati favorevoli alla Ostpolitik, ma in base a testimonianze e documenti inediti da me acquisiti in tempi recenti non escluderei un sopraffino depistaggio, vale a dire che dietro la duplice scomparsa vi siano ambienti legati all’allora presidente dello Ior Marcinkus, interessato a svincolarsi dall’abbraccio con Wojtyla. Visto sotto questa luce, il giallo Orlandi-Gregori sarebbe il frutto di una partita sotterranea tra il Papa polacco e il monsignore-banchiere, causata da dissidi sulla ricerca di fondi, non sempre puliti, da inviare in Polonia per sostenere Solidarnosc.
D) Nel libro una tua fonte afferma che l’avvocato della famiglia Orlandi disse un no secco all’ipotesi di grazia ad Agca in cambio della liberazione di Emanuela. Come ritieni possibile una simile presa di posizione?
R) È uno dei passaggi chiave. La famiglia Orlandi, ovviamente, era favorevole a tutto pur di riabbracciare Emanuela, compreso lo scambio all’apparenza incredibile con il terrorista turco. Il Quirinale, nella persona di Sandro Pertini, seppure tra forti dubbi iniziò a istruire la pratica per la grazia al detenuto, già condannato all’ergastolo. Il guaio fu che, con il passare delle settimane, le promesse non venivano mantenute, in un’escalation di tensione politica e isteria mediatica. Nella seconda metà del 1983, secondo quanto rivela la mia fonte investigativa, oggi in pensione, il negoziato andò quindi in cortocircuito: il legale delle famiglie, Gennaro Egidio, davanti all’ennesimo rinvio da parte di Italia e Vaticano, si oppose con nettezza a un provvedimento di clemenza a beneficio di un killer efferato come Agca. I retroscena possibili sono due: che l’avvocato abbia deciso autonomamente oppure che gli Orlandi e i Gregori, in preda all’esasperazione davanti a un evento tanto doloroso e imperscrutabile, mettendosi di traverso sperassero di smuovere le acque.
D) Peronaci, permettimi una domanda più articolata. Noi stiamo parlando di un periodo storico particolare: quello della Guerra fredda. Una guerra vera, che causava morti. Non era combattuta con le armi convenzionali, ma spesso con quelle dell’intelligence con tanto di messaggi in codice. In questa ottica vorrei attirare la tua attenzione su due momenti della vicenda Orlandi, che affronti nel tuo libro e che secondo me potrebbero avere punti di contatto finora inesplorati; ma, dentro quella logica, non del tutto sorprendenti. Primo punto: il 20 luglio 1983 scade l’ultimatum annunciato dai presunti rapitori di Emanuela. In una telefonata viene dettata un messaggio da passare all’Ansa. C’è la seguente frase: “Pervenendo alla soppressione del 20 luglio non perdiamo speranza nella volontà di quanti possono adoperare un gesto risolutore”. Non ricorda molto da vicino il famoso “eseguendo la sentenza” del comunicato n.9 delle Br a proposito di Moro? Anche in quel caso un ultimatum, con richiesta di uno scambio di prigionieri …
R) Il passaggio che hai evidenziato costituisce l’ennesimo inquietante mistero. Il rimando al caso Moro, con l’uso del gerundio, è evidente. Dalle comunicazioni dei rapitori delle ragazze emerge una raffinata analisi politica della situazione. In un comunicato si elencano addirittura le dotazioni belliche, aeree, navali e di terra, dei blocchi dell’Est e dell’Ovest. Il fine eversivo balza agli occhi. I responsabili dell’azione criminale potrebbero quindi essere stati immersi in quello che all’epoca, con brutto neologismo, veniva chiamato il ‘brodo di cultura’ del terrorismo, l’idea che dissensi politici e contraddizioni sociali si potessero risolvere con il crepitio delle mitragliette. Pochi ci hanno fatto caso, ma i sequestratori di Emanuela e Mirella adottarono una tecnica precisa: prima mandavano messaggi alle famiglie o in Vaticano, poi davano prova di autenticità tramite comunicazioni inviate all’Ansa, considerata, a ragione, organo informativo super-partes. Ciò indica una strategia premeditata. Le parole non erano scelte a caso. Quel gerundio può indicare o la comune matrice di ambienti del brigatismo rosso oppure, al contrario, un sofisticato depistaggio.
D) Secondo punto: tra fine novembre e inizio dicembre 1985 chi dice di avere in quel momento in mano la Orlandi annuncia: “La ragazza non tornerà”. E tra i responsabili di questo esito cita “una nota personalità” di cui si fornisce un codice mai decrittato. Mi è balzato alla memoria che “nota personalità” è l’espressione utilizzata da chi al Viminale avvertì la mattina del 9 maggio 1978 il ministro dell’Interno Cossiga del ritrovamento del corpo di Moro. E’ spy-fantasy ipotizzare che qualcuno 7 anni dopo fosse a conoscenza di quel riferimento e che lo abbia riutilizzato per usare un codice? In sintesi: è da escludere che ci sia un qualche tipo di rapporto tra vicende Moro e Orlandi?
R) L’allusione alla ‘nota personalità’ ha colpito anche me. Un’ipotesi a mio parere fondata, suffragata dai codici di quel comunicato, è che i sequestratori si riferissero a uno dei magistrati titolari delle indagini sull’attentato. Anche in questo caso, non si può escludere che l’identica espressione usata in ambienti investigativi la mattina dell’uccisione di Aldo Moro rappresenti la prova di un legame. Le connessioni tra grandi misteri italiani, d’altra parte, sono un dato di fatto, specie in presenza di interferenze dei servizi segreti. Come scrivo nella controcopertina del mio libro, spesso la realtà supera l’immaginazione, ma se un fatto appare incredibile non si può concludere che non sia avvenuto.
Ma a proposito del nesso che evochi tra le due vicende c’è anche un altro mistero rimasto tale.
D) Quale?
R) Il rapporto tra Alì Agca e il brigatista e ‘maestro di italiano’ Giovanni Senzani, che si trovarono a dividere la cella nel carcere di Ascoli Piceno, in coincidenza con le accuse del turco ai funzionari bulgari. Viene dato per scontato che l’italiano fluente che l’attentatore iniziò a parlare da un certo momento in poi sia stato merito delle lezioni del leader brigatista e di certo l’interesse di Senzani verso una figura equivoca e strumentalizzabile come Agca non può essere stato causale: il mondo dell’eversione rossa, in quegli anni ancora vitalissimo, aveva interesse anch’esso a incassare benefici politici dall’azione di piazza San Pietro, dopo il disastro del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro”.
D) Della relazione tra l’attentato a Giovanni Paolo II e le scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori si è sempre parlato. Tu però vai oltre e colleghi il “crimine del secolo” ad altre vicende di ragazzi romani scomparsi o trovati morti in quegli anni. Quali sono le loro storie?
R) Sì, questo è un altro elemento nuovo. Dopo i sequestri di Emanuela e Mirella, altre giovani vite restarono intrappolate in fatti oscuri. Li ho definiti i tragici effetti collaterali delle revolverate del 13 maggio. Nell’ottobre 1983 Paola Diener, 33 anni, fu trovata folgorata sotto la doccia nella sua casa di via Gregorio VII. Il caso venne archiviato come disgrazia, ma suscita dubbi il fatto che a questa morte all’apparenza fortuita abbia fatto riferimento un comunicato del sequestro Orlandi, spedito da Boston, e che il padre di Paola fosse il capo dell’archivio segreto vaticano. Nel libro approfondisco anche il giallo Garramon, collegabile ai misteri precedenti in quanto il piccolo José, 11 anni, a fine 1983 fu travolto e ucciso in una pineta dall’uomo che si autoaccuserà del sequestro Orlandi; la fine di Katy Skerl, 17 anni, strangolata a Grottaferrata nel 1984, che secondo rivelazioni mai smentite è stata vittima di un ulteriore scempio, il furto della bara al cimitero Verano; e infine la storia di Alessia Rosati, 21 anni, militante di sinistra, scomparsa a Montesacro nel luglio 1994, il cui movente andrebbe cercato nelle guerre intestine ai servizi segreti civili, all’epoca travolti dallo scandalo dei fondi neri. Lo stesso Sisde che una decina d’anni prima aveva dato pessima prova di sé nelle indagini sulle quindicenni sparite. Tutto torna all’infinito, purtroppo, nell’Italia delle ombre e delle trame.
Giampiero Guadagni

( 12 maggio 2021 )

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