Giovedì 9 maggio 2024, ore 17:55

Attualità

La disinformazione è un attacco alla democrazia

A volte (spesso negli ultimi tempi?) una notizia falsa può essere una micidiale arma di guerra. “Infowar: la disinformazione minaccia la sicurezza internazionale” è il titolo dell’incontro svoltosi al Senato nella sala dedicata ai caduti di Nassirya mercoledì 18 ottobre, su iniziativa del senatore Enrico Borghi, aperto con un minuto di silenzio in ricordo delle vittime israeliane e palestinesi di questi giorni: un dibattito iniziato con una riflessione sul libro Europe’s call to arms, del docente Ciro Sbailò, direttore del centro studi GEODI dell’Università degli Studi Internazionali di Roma.

Non a caso il luogo scelto per parlare di questo argomento è il Parlamento: perché la disinformazione è principalmente un attacco alla democrazia. Un tavolo in cui insieme ci sono più mondi, quello dell’università e del giornalismo, che dovrebbero sedi in cui si sviluppa la consapevolezza critica e l’indipendenza del pensiero, e quello della politica, che dovrebbe concretizzare la democrazia, ed anche difenderla. A moderare l’incontro Aldo Torchiaro, giornalista de Il riformista, che partendo dal tragico evento della bomba sull’ospedale Al-Ahli Arabi Baptist Hospital di Gaza, per il quale Hamas e Israele si accusano a vicenda, invita a riflettere sul fatto che puntare sulle informazioni derivanti dalla tecnologia e sottovalutare le fonti umane è stato un grave errore dell’intelligence. Ed infatti il docente Ciro Sbailò espone l’idea che si può leggere nel suo libro Europe’s call to arms, pubblicato in lingua inglese nel 2023 dalla casa editrice Nomos: “L’evoluzione della tecnica ha un trend esponenziale; invece, l’evoluzione degli strumenti giuridici propri delle democrazie ha un trend lineare. Ciò fa sì che, mentre i vincoli a tutela della libertà personale riescono ad essere dei limiti alla deriva della tecnoscienza nei regimi liberali, la tecnologia in mano alle autocrazie diventa estremamente pericolosa, dà luogo ad una deriva entropica, proprio per la sua hybris, la sua tracotanza nel senso greco del termine. Si era già visto con riferimento all’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001; adesso l’attacco di Hamas ad Israele dimostra sempre di più un approccio olistico (per cielo, per terra, per mare). Per comprendere il contesto, è necessario che gli analisti di intelligence studino prima di tutto storia e filosofia, perché non si può comprendere il conflitto israelo-palestinese o ciò che avviene nel mondo arabo senza conoscere la storia dell’Islam. Non si può paragonare la differenza tra sciiti e sunniti allo scisma tra chiesa cattolica e chiesa protestante.” Per anticipare le mosse, per capire ciò che avverrà serve “un approccio olistico” anche nello studio della minaccia “che deve partire dalla storia, per comprendere l’attualità”.

Sergio Germani, direttore dell’istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici, spiega: “A proposito della disinformazione nella guerra ibrida russa, non si deve pensare che “la facciano tutti nello stesso modo”. Ci sono attori statali e non statali. La disinformazione di matrice statale mira alla destabilizzazione di un sistema. Hamas mira a far crescere l’odio verso gli ebrei e la fake new nella guerra è uno strumento per creare il caos. La Russia punta a logorare le democrazie occidentali. Le campagne propagandistiche russe erano usate anche in passato. Si tratta di una strategia: anche l’Italia ha rischiato di essere destabilizzata negli anni di piombo. Putin ha ripreso la tradizione della guerra olistica propria delle autocrazie per colpire la società stessa, la sua coesione politica. Si crea confusione sulla reale esistenza della minaccia per lo Stato aggredito.”

Partecipa al dibattito anche Naike Gruppioni, deputata del Gruppo Azione- Italia Viva- Re: “Mentre è in corso questo dibattito in un luogo simbolico, il Senato, viene approvata in questo stesso luogo la legge sul Museo nazionale della Shoah, perché la memoria è fondamentale, soprattutto in un momento in cui le fake news sono usate per destabilizzare, la frenesia dello scoop limita la verifica delle fonti e il titolo finisce per valere più della fonte e della testata. In questa guerra fra falsi vince il verosimile ed il virale, mentre è dovere delle istituzioni tutelare il diritto ad un’informazione corretta e veritiera”.

Alessio De Giorgi, direttore web del riformista, descrive quella che è stata nei primi anni del terzo millennio la “sbornia dei social networks”: un dilagare di notizie superficiali, non verificate, false, che ha una battuta d’arresto nel 2018 quando “Mark Zuckerberg, fondatore e proprietario di Facebook, finisce per dover rispondere di fronte al Congresso degli Stati Uniti”. In particolare, gli viene chiesto di spiegare il modo in cui il suo social network gestisce i dati degli utenti, alla luce del caso Cambridge Analytica e delle indagini sulle interferenze della Russia nella campagna elettorale. “Iniziano da quel momento” prosegue De Giorgi “i percorsi di autoregolamentazione dei social network, anche se i dati del 2023 di Meta fanno riflettere: 7,4 milioni di contenuti sono contrassegnati come fake news in Francia, 7 in Italia, 6,8 milioni in Germania, 6,1 in Spagna. In aggiunta X di Elon Musk (in passato denominato Twitter), non sta collaborando nell’autoregolamentazione e l’engagement (il livello di coinvolgimento, ndg) generato dalle fonti di disinformazione russe, cinesi e italiane è cresciuto del 70%”.

Mario Caligiuri, docente dell’Unical afferma: “E’ necessario individuare i segnali deboli e applicare lo strumento contrario: le fake news si diffondono anche perché disinformazione e livello di istruzione sono inversamente proporzionali. Il 27,1% delle persone in Italia è sostanzialmente analfabeta funzionale ed il 75% non è in grado di interpretare una frase complessa”. Vale a dire il problema è anche l’assenza di capacità critica, che è direttamente legata al livello di istruzione.

Conclude il dibattito il senatore Enrico Borghi, sostenitore dell’idea di una legge che istituisca l’Agenzia nazionale contro la disinformazione: “L’enfatizzazione delle posizioni radicali impedisce il dialogo, il confronto e la sintesi, tutte attività rappresentative del luogo in cui siamo, il Parlamento di una democrazia. La guerra in Ucraina inizia con la disinformazione; poi il conflitto diventa fisico. Non è un caso che la Svezia abbia creato per prima l’Agenzia contro la disinformazione e abbia chiesto di entrare nella Nato dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Perché è chiaro che ci sono tanti punti da unire, per capire un disegno.

 In questo momento, ai confini dell’Europa ci sono guerre in corso: al confine est si svolge la guerra in Ucraina, nella riva Sud del Mediterraneo è appena scoppiato il conflitto in Israele. Sono guerre che, seppur apparentemente diverse, sembrano essere guerre contro la democrazia. Sono guerre che la disinformazione ha in un certo senso preparato, voluto, agevolato. Ed il rischio concreto è che questo dilagare di informazioni volutamente distorte allarghi questi conflitti, già pericolosamente vicini e oltremodo spietati. Serve un ritorno alla ricerca della verità, come essenza del giornalismo, al pensiero critico, come ragione di esistenza dell’Università, ai valori democratici, in quanto storicamente non risulta che due democrazie abbiano mai scatenato una guerra tra loro. E’ tutto questo, che fa la differenza.

Elisa Latella

( 19 ottobre 2023 )

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