Mercoledì 24 aprile 2024, ore 6:47

Intervista

Sud ma non solo, la trappola dello sviluppo intermedio

Prof. Viesti, ci sono sistemi territoriali che si sono nel tempo ridisegnati e trasformati. E altri che si sono chiusi alle nuove opportunità. Quanto ha pesato la visione conservatrice sullo sviluppo del Paese e sulla salvaguardia del tessuto economico sociale dei territori ?

Più che visione conservatrice parlerei proprio di assenza di visione. Molti territori hanno subìto l'impatto negativo dei cambiamenti e le politiche non hanno saputo governare quei processi. Mancano politiche pubbliche che consentano nelle aree periferiche lo sviluppo di nuove attività.

Di fronte a produzioni tradizionali oggi in crisi, ad esempio nel manifatturiero, come è meglio comportarsi: investirci ancora o cambiare decisamente strada ?

Il manifatturiero è irrinunciabile. Bisogna puntare sul manifatturiero e sui servizi avanzati. Ma la politica industriale è un processo, una trasformazione continua. Occorre dare alle imprese la possibilità di crescere, investire sul capitale umano, favorire l'internazionalizzazione e l’innovazione. La manifattura rimane una componente essenziale delle regioni più avanzate. Le regioni sedi di attività industriali a tecnologia medio-alta e alta conservano la propria forza e competitività, e riescono a sostenere imprese e occupazione anche grazie allo sviluppo dell’export.

A suo giudizio, le risorse del Pnrr potranno effettivamente segnare un cambiamento per i nostri territori; o rappresenteranno l'ennesima occasione persa, soprattutto per il Sud ?

Questa è una grandissima incognita. C'è un lato positivo: le risorse sono cospicue e gli strumenti sono tanti. C'è un lato negativo: manca appunto una visione di politica industriale e mancano criteri per garantire che delle risorse possano beneficiare tutti i territori e non solo per chi è più attrezzato.

A proposito di Sud. Lei ha da poco pubblicato un libro “Centri e periferie”. E afferma tra l'altro che le trasformazioni demografiche, sociali, politiche ed economiche configurano una nuova questione meridionale. In che senso nuova?

Nuova perché queste trasformazioni avvengono in un mondo completamente cambiato rispetto a quello che ha caratterizzato la storia d’Italia dalla unificazione all’inizio del ventunesimo secolo. Sotto il profilo industriale, le regioni meridionali non solo hanno perso occupazione nelle attività tradizionali; ma non hanno creato nuove opportunità nei settori avanzati che caratterizzano la nuova geografia della competitività. Insomma, il Mezzogiorno è contestualmente meno competitivo rispetto al Nord Europa sul piano dell’innovazione e della produttività: meno competitivo rispetto all'Est su quello dei costi di produzione. È quella che chiamo la trappola dello sviluppo intermedio.

E come si esce da questa trappola ?

Non è facile. Uscire da questa trappola richiede strumenti sofisticati di politica industriale, che non si vedono ancora all’oriz zonte. Nell'ultimo ventennio è divenuta evidente la difficoltà delle aree deboli dei paesi relativamente avanzati - appunto le regioni a sviluppo intermedio - che crescono meno delle altre. Occorre puntare sull'innovazione. Sono molto importanti le dotazioni infrastrutturali e la qualità dei servizi pubblici di trasporto e comunicazione disponibili; e quindi le politiche che li determinano. Nell'ultimo ventennio è divenuta evidente la difficoltà delle regioni “a sviluppo intermedio” - le aree deboli dei paesi relativamente avanzati - che crescono meno delle altre.

La pandemia ha colpito duramente i territori più deboli. Per contrastare le disparità, quale dovrebbe essere il punto di partenza di una efficace politica pubblica ? E dove trovare le risorse necessarie ?

La pandemia ha colpito tutti, più che creare nuove diseguaglianze ha aggravato quelle già esistenti. Ma non solo al Sud. Molte regioni del Centro sono a sviluppo intermedio. Pensiamo alle Marche o all'Umbria, che sono state modelli di integrazione industriale e di sviluppo senza fratture. Ma anche al Piemonte, Situazioni che non possono essere affrontate senza una politica industriale centrata sull’innovazione. Occorre a tal fine mobilitare risorse private e collettive. Serve un piano di rilancio. E anche un grande dibattito in sede europea su regole più ragionevoli di finanza pubblica dal 2023.

Giampiero Guadagni

( 4 dicembre 2021 )

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