Lunedì 29 aprile 2024, ore 21:58

Lavoro 

Formazione, la vera tutela 

Il Jobs Act è stato ”una grande riforma, non priva di lacune, ma anche con aspetti assolutamente positivi”. Il leader della Cisl Sbarra boccia la proposta referendaria promossa dalla Cgil sul ripristino dell'articolo 18, ”ormai anacronistico”. Nei giorni scorsi il sindacato di Corso d’Italia ha depositato in Cassazione quattro quesiti, di cui due riguardano proprio la riforma del lavoro promossa e attuata dal governo Renzi nel 2015: uno sul superamento del contratto a tutele crescenti, l'altro sull'indennizzo in caso di licenziamento illegittimo previsto al posto del reintegro per le piccole imprese, introdotti dal Jobs Act. Il terzo quesito riguarda la reintroduzione delle causali per i contratti a termine; il quarto è relativo agli appalti e riguarda la responsabilità del committente sugli infortuni sul lavoro.
Sottolinea Sbarra: ”Oggi la vera tutela che dobbiamo conquistare si chiama formazione, investimento sulle competenze, si chiama apprendimento, conoscenza”. In ogni caso ”rispettiamo le iniziative delle altre sigle sindacali, anche se sul merito non le condividiamo”. Con Cgil e Uil, del resto, ”abbiamo obiettivi comuni, ma ci sono sensibilità diverse”.
E anche Bombardieri ricorda che ”il pluralismo sindacale è una "ricchezza, rispettiamo le diverse sensibilità e non è la prima volta che i sindacati hanno posizioni diverse. Non è un problema, non siamo abituati a dare giudizi su altri”, afferma il segretario generale della Uil nel corso di una conferenza stampa per illustrare le ragioni della manifestazione di sabato 20 aprile a Roma insieme con la Cgil.
In realtà i dati sull’occupazione sono in crescita e non c’è ”aria di precariato”, anzi un orientamento a stabilizzare i contratti. Lo dimostrano tutti i più recenti dati Inps e Istat.
A febbraio l’occupazione è ai livelli massimi a febbraio: il tasso sale al 61,9%, sfiorando il record storico del 62% registrato a dicembre scorso, ma con un numero di occupati che comunque tocca il livello più alto di sempre: 23 milioni 773 mila. A fare da traino sono appunto i posti fissi: i dipendenti a tempo indeterminato raggiungono quota 15 milioni 969 mila. Calano i dipendenti a termine e gli autonomi. E scende il tasso di inattività (al 33%): diminuisce infatti il numero di quanti non hanno un lavoro e neppure lo cercano: questo significa che più persone tornano sul mercato.
Insomma, non è la precarietà il problema del lavoro italiano, ma la bassa partecipazione di donne e giovani e la carenza di competenze. Occorrono pertanto far ripartire il processo di potenziamento dei servizi per l'impiego; completare le riforme scolastiche e dell'orientamento previste dal Pnrr; misure per la conciliazione/condivisione per favorire la partecipazione femminile; un rapido rinnovo dei contratti collettivi ancora aperti, per migliorare le condizioni di lavoro e di reddito ed incentivare le persone a lavorare.
Preoccupano peraltro i dati che vedono l'Italia sotto la media europea per la formazione degli adulti (gap che resta elevato anche nella fascia dei 18-24enni). Quasi l'80% dichiara che non ha interesse a formarsi e gli altri sono spesso frenati dai costi. Inoltre la partecipazione ad attività formative non solo si riduce con l'età ma si rivela strettamente legata a condizioni sociali quali il livello di istruzione nonché il livello di istruzione dei genitori. Colpisce la mancata comprensione, anche tra gli stessi lavoratori, dell'importanza della formazione continua, che invece è fattore fondamentale sia per dare risposte alla perdurante carenza di competenze sia per evitare che i lavoratori con competenze basse ed obsolete scivolino in lavori sottopagati, in lavoro grigio oppure nella disoccupazione o nell'inattività. Il dibattito sul lavoro in Italia, da sempre concentrato sui temi delle tipologie flessibili e della retribuzione, in questo senso non ha aiutato. Invece è la formazione il vero antidoto contro il rischio esclusione e il lavoro sottopagato, nonché contro la scarsa mobilità sociale in Italia, dove la provenienza familiare fa ancora la differenza.
Giampiero Guadagni

( 15 aprile 2024 )

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