Il Sud è a rischio desertificazione, a causa dell’emigrazione massiccia, della mancanza di investimenti, di infrastrutture e, in sostanza, di prospettive. Il rapporto Svimez sull’economia del Meridione mostra un quadro apocalittico. Cresce il divario con il Nord e con il resto dell'Europa. Cala il Pil: nel 2019 è a meno 0,2%. Da qui al 2065 nel Meridione si perderà il 40% della forza lavoro attiva, ossia 5 milioni di lavoratori. Ma il processo è iniziato da molto. Dal 2000 a oggi sono andati via 2 milioni di abitanti, la metà giovani. I governi, però, continuano a trascurare questo dramma. Secondo il direttore della Svimez, Luca Bianchi, nel 2018 mancano all'appello, come investimenti al Sud, 3,5 miliardi di euro, in base alla regola del 34% della ripartizione delle somme in conto capitale per investimenti. Al Sud cresce il divario di cittadinanza con le regioni del Nord in termini di minori servizi, dagli asili nido al trasporto pubblico.
Il sindacato prova a suonare, ancora, la sveglia. Il segretario generale aggiunto Cisl, Luigi Sbarra, ribadisce l’urgenza di mettere “il riscatto delle aree sottoutilizzate del Sud al centro della strategia di sviluppo nazionale” e dunque rilanciare già in Legge di Bilancio “gli investimenti rivolti all'occupazione produttiva, a specifiche leve di sviluppo industriale, ad infrastrutture materiali e sociali indispensabili per spezzare le diseconomie e garantire a tutti i diritti di cittadinanza”. “Al Governo - aggiunge Sbarra - ribadiremo che senza la ripartenza sociale, economica e produttiva del Sud, l'Italia non si rialza. Per questo serve un Piano straordinario per il Mezzogiorno, con al centro il lavoro, la sua qualità e stabilità, la formazione, l'innovazione”.