Martedì 23 aprile 2024, ore 22:38

Economia

Keynes, il filosofo dell'economia

Forse non è un caso che John Maynard Keynes (1883-1946), universalmente riconosciuto come il più grande economista del Novecento, sia stato principalmente un filosofo. Del filosofo aveva la formazione, lo sguardo che va al cuore delle cose, la lungimiranza profetica. Sul piano personale fu molteplici cose contemporaneamente: raffinato conoscitore della storia dell'arte, collezionista di capolavori di Cèzanne, Picasso, Matisse, mecenate, nonché impresario teatrale, ma anche fattore nella sua tenuta a Tilton, vicino Londra. Era omosessuale, Keynes, uno dei due grandi amori della sua vita fu Duncan Grant, non a caso un pittore. Lo fu per gran parte della giovinezza fino alla maturità, per poi scoprirsi improvvisamente bisessuale e sposare Lydia Lopokova, una ballerina russa, facendo "scandalizzare" i suoi amici del circolo Bloomsburry, tra i quali Virginia Woolf e T.S. Eliot. La sua trasgressività era ovviamente meno "pericolosa" di quella di un Oscar Wilde, l'Inghilterra di Keynes non è più quella perbenista e gretta che aveva rinchiuso in carcere l'autore di Dorian Gray, e inoltre il pensatore di Cambridge apparteneva a quell'élite aristocratica che comprendeva nomi come Bertrand Russell, Alfred Marshall, Henry Sidgwick e il giovane Wittgenstein (solo per citarne alcuni). Ma Keynes fu soprattutto un genio. Pochi reggevano il confronto con la sua lucidità e la sua capacità di analisi dei problemi reali che lo avvicinava più ad uno Newton moderno, che ad un economista nel senso classico del termine.

Sul piano etico-filosofico egli rigettava totalmente il materialismo di Bentham, noto è il suo disprezzo del "far soldi", la sua fiducia nelle spiegazioni psicologiche, il riconoscimento del regno dell'incerto e dell'irrazionale, la sua visione estetica della vita. Rapportato all'economia tutto ciò fa di Keynes una specie di orfano, uno senza padri che lo hanno preceduto. Per lui l'economia non era una scienza sociale, ma morale. L'incerto, l'irrazionale: era l'età di Einstein e della relatività, di Picasso e del cubismo, di Virginia Woolf e del romanzo senza trama, di Pound ed Eliot, di Joyce, l'età nella quale la previsione del futuro si arena di fronte alla lettura di un presente fin troppo cangiante. Non a caso Keynes fu in primis il filosofo della probabilità, il compito che si era proposto era quello di riorganizzare la vita degli uomini in un mondo senza Dio. Da qui comincia il cammino intellettuale di colui che sarebbe divenuto un economista non per rendere più ricca la gente, ma per renderla migliore, più civile, "più alla Cambridge".

Keynes non si laureò mai in economia, anzi, per dirla tutta frequentò solo tre mesi i corsi di Marshall; fu la matematica invece a garantirgli una delle quindici ambitissime borse di studio di Eton, la scuola dell' élite sociale inglese. Eton era una comunità collettivista, tenuta insieme dalla lealtà e dal dovere piuttosto che da individui atomizzati uniti dall'utilitarismo personale.

Nel 1902 Keynes entrò al King's College di Cambridge e qui, l'anno dopo fu eletto Apostolo del circolo Bloomsburry, che resterà la sua vera famiglia per tutta la vita. In questa sorta di "chiostro di pragmatismo e sodomia" (sono parole di Keynes), il nostro Maynard si formò sui Principia Mathematica di Russell, ma soprattutto sui Principia Ethica di G.E. Moore. L'importanza giocata dalla probabilità nelle teorie di Moore lo influenzò moltissimo, tanto che vent'anni dopo, nel 1922,

vide luce finalmente il suo Trattato sulla probabilità. Dunque, il Keynes filosofo e speculatore arrivò alla scienza economica attraverso lo studio della probabilità che "le azioni giuste fossero gli scopi previsti dei buoni Stati".

Nel 1915 fu chiamato al Ministero dei Tesoro e fu subito nominato segretario di un Comitato di gabinetto straordinario per poi passare direttamente alla gestione finanziaria della guerra. Per lui l'esito di quest'ultima fu la dimostrazione dell'assurdità dell'utilitarismo: un sistema industriale le cui conseguenze erano state solo morte e distruzione. Nel dopoguerra scrisse Le conseguenze economiche della pace, opera che ebbe un ruolo fondamentale nel periodo interbellico: egli dimostrò che non era più possibile sostenere il presupposto ottocentesco di un progresso economico sostenuto da istituzioni liberali, e ciò fece di lui un economista rivoluzionario. La sua fede nell'etica mooriana lo spingeva verso la creazione di un mondo nuovo, basato sull'amicizia e sulla bellezza. Quando si dimise, nel 1919, Keynes era il più alto funzionario del Tesoro alla Conferenza di Parigi, la sua popolarità era in costante crescita, tanto che la scelta di campo era ormai tra lui e Marx.

Fu il primo a riconoscere che l'ottimismo del laissez faire e l'atteso progresso automatico dell'economia, che avevano tenuto in piedi il mondo dell'anteguerra, adesso non esistevano più, e che il dibattito economico era passato dai numeri ai problemi di psicologia, a quello che la gente pensava e sentiva. E fu l'ultimo economista a preoccuparsi del rapporto tra l'essere ricco e agire rettamente. Egli attribuì allo Stato il compito di rimediare ai difetti della società, sviluppò un'analisi del disordine economico mondiale consona ai tradizionali valori liberali: vide lo Stato come una risorsa non ancora sfruttata, poiché la caduta del mercato autoregolamentato della società vittoriana conduceva al suo fenomeno più grave, la disoccupazione di massa. Risolvere questo problema divenne, da allora, lo scopo della sua vita: "Se la teoria economica classica è applicabile solo nel caso della piena occupazione, è fallace applicarla ai problemi della disoccupazione". Il mondo sostenuto dai naturali cicli economici non esisteva più, il risparmio nazionale personale, che nel mondo del self help vittoriano era sembrato quasi una religione, di colpo viene visto come un elemento che fa crescere la disoccupazione. Occorre invece che l'investitore privato e quello statale creino un circolo virtuoso, usando le opere pubbliche per dare lavoro ai disoccupati.

Non si può ripercorrere in poco spazio l'enormità della vita di Keynes. Sia sufficiente dire, tra l'altro, che gli accordi di Bretton Woods e la nascita del Welfare State portano il suo segno, e che la sua Teoria generale influenzò tutte le economie dei decenni successivi. Malgrado ciò egli se ne andò a soli sessantatre anni, da tempo era malato di cuore, e con lui scomparve un uomo che seppe vedere cose davanti alle quali gli altri erano ciechi.A chi gli chiedeva quale sarebbero state le implicazioni delle sue teorie economiche a lungo termine, egli rispondeva che "a lungo termine saremo tutti morti", infatti per lui era più razionale tendere a un bene immediato piuttosto che ad uno incerto e remoto.

Mauro Fabi

( 10 febbraio 2021 )

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