Quando venne al mondo, a Parigi, il 9 aprile del 1821, esattamente duecento anni fa, ancora non si parlava di “poeti maledetti”, definizione che sarebbe stata coniata parecchi anni dopo da Paul Verlaine, tuttavia, anche se a titolo retroattivo, si può tranquillamente affermare che il primo dei “Poetes maudits” è stato proprio lui, Charles Baudelaire. Figlio di un ex sacerdote che morì quando lui aveva appena sei anni, in aperto contrasto con la madre, colpevole, secondo lui, di essersi presto risposata con un austero tenente colonnello, il giovane Baudelaire evidenziò presto il suo carattere folle e incontrollabile. Incostante negli studi, insofferente alla disciplina, ribelle, l’autore dei “Fiori del male” ebbe una vita dissoluta cadendo giovanissimo preda di alcol e droghe. Questo non gli impedì di scrivere poesie straordinarie, ma indubbiamente gli procurò anche guai seri se è vero che la prima edizione dei “Fiori del male”, il suo capolavoro, avvenuta nel 1857, venne sequestrata e Baudelaire fu rinviato a processo per oscenità. Se la cavò con una grossa multa e la cancellazione dal testo di sei poesie. Tutt’altro che addomesticato, il “poeta maledetto” continuò lungo il cammino che aveva scelto. Tre anni dopo uscì “I paradisi artificiali”, un testo in prosa sugli effetti della droga e nel 1861 una nuova edizione, arricchita, dei “Fiori del male” Baudelaire a quell’epoca aveva soltanto quarant'anni, ma il suo fisico cominciò a pagare il conto alla sregolatezza della sua esistenza. Il primo segnale fu un attacco cerebrale, dal quale riuscì a riprendersi senza riportare gravi conseguenze. Ma neppure questo riuscì a spaventarlo. Baudelaire riprese la vita di prima, continuò a scrivere, tradurre l’amatissimo Edgar Allan Poe, bere e drogarsi. Questo gli procurò, nel 1866 un ictus devastante con paresi alla parte destra del corpo e afasia. Solo e triste, il poeta maledetto non si riprese più e morì, nella sua Parigi, il 31 agosto del 1867 a soli quarantasei anni.