Martedì 3 dicembre 2024, ore 12:33

Scenari

C’era una volta la transizione verde C’è chi frena e chi fa dietrofront

Eminenti scienziati di tutto il mondo hanno consegnato alle Nazioni Unite una sorprendente dose di realtà, che in realtà da tempo era un ingombrante elefante nella stanza: sta “divenendo inevitabile” che i paesi non raggiungano l’ambizioso obiettivo fissato otto anni fa per limitare il riscaldamento della Terra. Sulla stessa linea gli emiri, che non ci pensano proprio a scalfire i petrodollari. Ma basta guardare anche alla California per scoprire che uno dei sindacati più potenti dello Stato, The Trades, non allenta la presa sui posti di lavoro nel settore petrolifero. Con i funzionari federali che spingono per ottenere finanziamenti green il più velocemente possibile in vista delle elezioni del 2024, la riluttanza dei sindacati a rinunciare ai posti di lavoro legati ai combustibili fossili mina gli obiettivi climatici aggressivi dei democratici. I sindacati continuerebbero insomma a dare grattacapi ai democratici sul clima, dopo una presa di coscienza globale. I legislatori stanno infatti investendo miliardi nelle industrie rispettose del clima, ma la transizione occupazionale è in ritardo. Come costruire rapidamente enormi quantità di infrastrutture per l’energia pulita senza compromettere la manodopera? lavoratori di The Trades hanno beneficiato di accordi di lavoro a progetto con grandi aziende come Chevron, che garantiscono che i progetti siano gestiti da dipendenti sindacali che trattano su salari, benefici, orari e altri standard lavorativi prima che i lavoratori entrino in un cantiere. Questi accordi di contrattazione collettiva sono meno comuni nei settori delle energie rinnovabili, dove le aziende sono spesso restie a collaborare con i sindacati. Ed ecco che The Trades diventa un alleato chiave per l’industria petrolifera: lo scorso anno si è battuto contro la legislazione volta a creare una zona cuscinetto tra i pozzi di petrolio e gas e luoghi sensibili come case e scuole. Il sindacato si è anche opposto a un disegno di legge presentato quest’autunno nella legislatura della California che impone alle grandi aziende di segnalare le emissioni di gas serra attraverso le loro catene di approvvigionamento. Il disegno di legge è stato comunque approvato, ma l’opposizione dei Trades ha avuto più peso di quella delle compagnie petrolifere nella lotta contro maggioranza democratica sempre più progressista dello stato. La United Steelworkers, i cui membri gestiscono raffinerie di petrolio in tutto lo stato, ha approvato una tabella di marcia di transizione di 12 anni sviluppata da economisti dell’Università del Massachusetts Amherst, che propone alla California di spendere 470 milioni di dollari all’anno per sostenere i lavoratori licenziati dai lavori legati ai combustibili fossili. A ottobre, Usw si è unita a una nuova coalizione sindacale, comprendente sezioni della United Auto Workers, della Service Employees International Union e della Federazione americana dei dipendenti statali, provinciali e municipali, che ha pubblicato le priorità politiche tra cui la sostituzione salariale, la copertura sanitaria, la riqualificazione e il sostegno al ricollocamento per i lavoratori licenziati. Ma The Trades non è membro di quella coalizione sindacale e si oppone alle proposte che stabiliscono una tempistica per l’eliminazione dei combustibili fossili. Secondo il Dipartimento dell’Energia, la California ha circa 112.000 lavoratori nel settore dei combustibili fossili, rispetto ai 115.000 dell’industria solare. Un rapporto commissionato dal sindacato stima che una riduzione del 50% nei settori del petrolio e del gas entro il 2030 - come previsto dalla politica statale che mira alla neutralità del carbonio entro il 2045 - richiederebbe oltre 30 mila licenziamenti. A complicare il quadro, anche la lotta tra sindacati e aziende di energia rinnovabile nonché le divisioni della sinistra rispetto alle tecnologie emergenti che ricevono sussidi più generosi. I politici statunitensi e Wall Street, del resto, hanno sacrificato il tenore di vita e la ricchezza delle classi medie e lavoratrici negli ultimi 30-40 anni, accumulando miliardi nel settore della difesa e in quello bancario, nonostante le guerre siano una delle attività che generano maggiori emissioni di carbonio. Difficile bombardare e allo stesso tempo chiedere ai cittadini l’acquisto di un veicolo elettrico e un fornello ad induzione per “salvare il pianeta”. Per non parlare dell’enorme differenza di impronta di carbonio tra l’1% della popolazione mondiale più ricca e tutti gli altri. Ora, arrestare il treno merci dell’aumento del consumo di energia, inclusa la difficoltà di abbandonare i combustibili fossili, la troppo frequente incapacità di considerare i costi energetici totali (comprese le infrastrutture) e ambientali di una riduzione delle emissioni di carbonio, e la riluttanza a frenare il consumo di energia (attraverso la fissazione dei prezzi o divieti) è praticamente impossibile nel sistema neoliberista. La transizione verde sta aprendo gli occhi e si sta scontrando (era ora) con la realtà. Con la domanda di veicoli elettrici al di sotto delle aspettative, i produttori stanno riducendo la produzione e riacquistando invece le scorte. Gli sviluppatori di energia eolica offshore hanno annullato i progetti. Quest’anno l’indice S&P Global Clean Energy è sceso del 30%. La capitalizzazione di mercato di Ford è scesa a 42 miliardi di dollari. Come ben spiega l’economista francese Jean Pisani-Ferry in un rapporto commissionato dal primo ministro francese e pubblicato in inglese a novembre, “attribuendo un prezzo - finanziario o implicito - a una risorsa gratuita (il clima), la transizione aumenta i costi di produzione, senza alcuna garanzia che la riduzione dei costi energetici finirà per compensarli, mentre gli investimenti richiesti non aumentano la capacità produttiva”. Benvenuti nel mondo reale, lontano da slogan politici e da fanatismi di ogni colore. Pisani-Ferry stima che una famiglia francese della classe media spenderebbe il 44% del reddito disponibile annuo per una pompa di calore e il 120% per un’auto elettrica. Questi investimenti stimolano la domanda, ma non lasciano le famiglie in condizioni migliori poiché semplicemente fanno la stessa cosa di ciò che sostituiscono. E se le tasse aumentano per pagare questi investimenti, le famiglie si troveranno in condizioni finanziarie peggiori. Quando la curva del beneficio marginale sociale è più ripida della curva del costo marginale privato, prevalgono le restrizioni limitazioni della produzione. Per anni i costi dell’energia eolica e solare sono crollati, ma dal 2021 sono aumentati. La danese Orsted, la più grande società di sviluppo eolico del mondo, ha ricevuto una multa di 4 miliardi di dollari all’inizio di novembre per aver ritirato due progetti al largo del New Jersey. L’azienda oggi vale il 75% in meno rispetto all’inizio del 2021. ClearView Energy Partners stima che circa il 30% della capacità eolica offshore contrattata dallo stato sia stata cancellata e un altro 25% potrebbe essere riappaltato. Forse non sarebbe stato comunque facile ottenere un ampio sostegno sociale per un’azione concertata. Ma non è stato fatto alcun tentativo serio.
Raffaella Vitulano

( 7 dicembre 2023 )

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