Giovedì 1 maggio 2025, ore 6:02

Caso Embraco

Slovacchia, la partita non si gioca solo sui salari ma sulla produttività

Se per i lavoratori italiani dell’azienda di compressori e unità di condensazione Embraco il futuro oggi appare come un buco nero, per i loro colleghi slovacchi dell’impianto di Spišská Nová Ves le prospettive sono decisamente più rosee. A cominciare da quelle economiche. Alla fine dello scorso mese di gennaio, infatti, l’azienda ha firmato un nuovo accordo collettivo con le organizzazioni sindacali locali che prevede un incremento consistente dei salari dei lavoratori per gli anni 2018 e 2019. "La posta in gioco era la tredicesima e la quattordicesima mensilità contrattuale. Hanno acconsentito e l'hanno firmato", spiega Juraj Hojnoš, capo del sindacato slovacco KOVO. "In pratica, abbiamo ottenuto 700 euro quest’anno e 800 euro l'anno prossimo sotto forma di bonus più un aumento degli stipendi". Un accordo che, come evidenziato dallo stesso sindacato, ha fornito al personale dipendente della multinazionale controllata dall’americana Whirlpool una crescita dei salari dell'11%, inclusi i bonus nel 2018 e il 6% dell'anno prossimo. Ma non è stato un traguardo facile. L’intesa, infatti, è arrivata dopo quattro mesi di trattative e dopo l’entrata dei dipendenti in stato di allerta sciopero lo scorso 8 gennaio. Nella fabbrica, che produce compressori per frigoriferi, sono impiegate 2.300 persone che nel 2017 hanno ricevuto in media un salario di 964 euro. Anche due anni fa, alla precedente contrattazione collettiva, il sindacato e l’azienda avevano affrontato una situazione analoga in cui un negoziato molto complesso è stato portato avanti per quasi quattro mesi. All'inizio di dicembre 2016 a Spišská Nová Ves c'era stata anche una manifestazione di protesta a causa dei bassi salari proprio nella regione di Spiš. Dopo la marcia, era stato concordato un aumento annuale delle retribuzioni del 6 per cento in media. Ma non stiamo parlando di un caso isolato. I livelli salariali sono un tema sempre più discusso nell’Europa centrale. Tra gli operai e dipendenti cresce il sentimento che le imprese occidentali paghino poco una forza lavoro con prestazioni, che ormai sono in alcuni settori simili se non superiori a quelli dei Paesi occidentali. C’è la sensazione diffusa, da queste parti, che le imprese occidentali considerino i lavoratori del centro-est Europa dei parenti poveri da pagare poco. E non si tratta solo di paghe, ma anche di standard alimentari, ad esempio. E’ il caso di aziende alimentari dell’Ovest che per anni hanno rifilato cibo di minor qualità ai cittadini che vivo ad Est del Danubio. Questo senso di forte disincanto verso l’Occidente sta prendendo piede e ad ogni rinnovo contrattuale si fa più forte. Il precedente più illustre è quello che, a metà dello scorso anno, al termine di uno sciopero durato sei giorni, portò ad un accordo tra il sindacato slovacco dei metalmeccanci e la Volkswagen assicurando ai lavoratori un del 14,1% in busta paga. Un bel risultato, considerato che lo stipendio medio dello stabilimento di Bratislava VW (escluse le gratifiche del management) era già di 1.800 euro, a fronte di salari medi che nel paese non arrivano a mille euro (980 per la precisione). A sostegno delle richieste sindacali si era schierato anche il primo ministro slovacco, Robert Fico: "Se sappiamo che nello stabilimento di Bratislava esiste la più alta produttività e la più alta qualità e vi si producono le auto più costose di tutta l'azienda, perché i lavoratori dovrebbero guadagnare un terzo dello stipendio dei loro colleghi (tedeschi) che lavorano per la stessa azienda?", aveva dichiarato il premier, mandando un segnale chiaro che l’azienda, evidentemente, aveva trovato conveniente raccogliere. Non a caso, e soprattutto grazie al suo decollo come location dell´industria dell´auto, la Slovacchia ha quasi raddoppiato il suo prodotto interno lordo da quando è entrata, nel 2004, nell´Unione europea, a circa 90 miliardi di dollari. E´anche membro dell´eurozona, e l´adozione della moneta unica non le ha portato alcuna perdita di competitività, liberandola al contrario da incertezze di calcoli su import-export e conti sovrani. Alto livello di qualifica di operai ingegneri e manager, bassi costi di produzione, ben radicate tradizioni industriali risalenti a quando dal 1918 al 1938 dell´invasione nazista la Cecoslovacchia si costruì come democrazia piú industrializzata della Francia, sono origini del successo. E pensare che quando Praga e Bratislava concordarono la separazione pacifica e la fine della Cecoslovacchia, la maggior parte degli osservatori economici internazionali pronosticava per gli slovacchi un futuro da Mezzogiorno dell’ex Paese unito se non addirittura un avvenire di balcanizzazione. Sono stati smentiti dai fatti. Passato il periodo populista-dirigista di Vladimir Meciar, i governi successivi – compreso l’attuale – hanno deregolato e detassato in ogni modo per attrarre investimenti stranieri. Col risultato che la crescita media oggi è del 3,8%. Uno sviluppo trainato, come dicevamo, soprattutto dall’’automotive: Volkswagen in primis, ma anche coreani e francesi, fino all’arrivo piú recente: i prestigiosi marchi di lusso britannici Jaguar e Land Rover. Perché preparandosi agli effetti negativi della Brexit i loro proprietari indiani hanno dislocato dal Regno Unito proprio in Slovacchia la produzione dei modelli piú nuovi e di maggior successo.


E. C.

( 21 febbraio 2018 )

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