Venerdì 26 aprile 2024, ore 16:09

Scenari

Usa a rischio default sul debito. Pechino spinge per la de-dollarizzazione

l segretario al Tesoro, la signora Janet Yellen, ha notificato al Congresso che gli Stati Uniti potrebbero andare in default sul proprio debito già dal 1º giugno, se i legislatori non sollevano o sospendono l’autorità di prestito della nazione prima di allora e scongiurano quella che potrebbe potenzialmente diventare una crisi finanziaria globale. L’amministrazione Biden esita, attenta com’è a tenere a distanza Wall Street perché le grandi banche sono impopolari presso molti democratici. Ma i dirigenti del settore, con l’avvicinarsi della cosiddetta data X - quando il Tesoro potrebbe esaurire lo spazio per evitare il default - sono ansiosi di parlare direttamente con l’amministrazione su possibili percorsi da seguire per evitare una potenziale calamità economica. In una lettera ai leader della Camera e del Senato, Yellen ha esortato i leader del Congresso “a proteggere la piena fiducia e il credito degli Stati Uniti agendo il prima possibile” per affrontare il limite di 31,4 trilioni di dollari di prestito legale. Ha aggiunto che è impossibile prevedere con certezza la data esatta in cui negli Stati Uniti finiranno i contanti. Non è un problema da poco. E tutto questo mentre la fuga dell’economia mondiale dal dollaro continua senza tregua. Un articolo del Financial Times di qualche settimana fa - firmato Ruchir Sharma, presidente di Rockefeller International - si occupa del caso delle Banche Centrali che acquistano oro, scrivendo che stanno comprando più oro che mai dal 1950. Una cifra che rappresenta un insolito terzo della domanda globale totale di oro. Le Banche Centrali, scrive l’uomo dei Rockefeller, stanno quindi riducendo le disponibilità in dollari per farlo. Di quali banche centrali stiamo parlando? Secondo Sharma, nove delle dieci banche che guidano il “boom” degli acquisti di oro si trovano in Cina, Russia, India. Ma anche in Turchia. Brasile e Sudafrica invece non rientrano fra le prime dieci. Anche il Ghana si era già rivolto all’oro, invece che al dollaro, per un processo di stabilizzazione della propria valuta nazionale. Nel frattempo, l’Argentina entra nella lista dei Paesi che stanno mollando il dollaro a favore dello yuan cinese. In settimana era giunta voce che anche la Malesia, l’Indonesia, l’India e il Bangladesh stanno conducendo operazioni di sganciamento dal dollaro. Hanno aperto a scambi in yuan il Brasile, la Russia, l’Iraq e – dato molto rilevante per la storia e gli interessi Usa – l’Arabia Saudita, che aveva pure confermato a Davos i suoi piani di uscita dal petrodollaro. La de-dollarizzazione, insomma, tira dritto senza pietà. C’è da capire quale sarà la reazione degli Usa. E c’è da capire se dietro l’apparente tranquillità si celi in realtà una distruzione programmata per facilitare l’arrivo della Cbdc, la moneta virtuale (oramai discussa e sperimentata ovunque) con la quale si potrebbe meglio controllare la popolazione. Robert Kyosaki, imprenditore statunitense, ha recentemente lanciato il suo allarme sulle monete virtuali emesse dalle Banche Centrali. Kiyosaki, già autore di testi scritti a quattro mani con Donald Trump (e questo ne spiega il pensiero politico), ha avvertito che il FedCoin (come le altre valute emesse dalle banche centrali) eroderà la nostra privacy, tracciando ogni transazione finanziaria e intervenendo sulla allocazione delle nostre risorse. In realtà il tracciamento di tutte le transazioni è già realtà – lo abbiamo visto con il computo dell’impronta carbonica in banche australiane, canadesi, ma la vera rivoluzione del controllo dei “bitcoin di Stato” sarà la possibilità la gestione autonoma dello Stato di ogni possibilità economica del cittadino divenuto utente della sua mega-piattaforma. Il che vuol dire che con il denaro programmabile lo Stato potrà in tranquillità non solo prelevare tasse e multe senza il consenso del cittadino-utente, ma potrà anche inibirgli selettivamente alcuni acquisti o addirittura proibirgli del tutto ogni transazione. In realtà, una riflessione si impone, dato che la trasformazione in atto del sistema finanziario non si limita alla semplice uscita dal dollaro, ma ad una vera e propria de-neoliberizzazione. In pratica, si tratterebbe della creazione di un vero e proprio sistema economico completamente diverso. Ecco perché, mentre le contraddizioni aumentano all’interno del sistema del dollaro, al di fuori si sta creando un intero flusso di possibilità e alternative, incentrate, ovviamente, sulla Cina, ma che comportano anche attività e nuove politiche di altri paesi. Naturalmente tutti questi sviluppi sono stati rapidamente accelerati dall’attuale conflitto in Ucraina. Partiamo dal fatto che l’intero sistema del dollaro è organizzato non intorno alla produzione, non intorno al commercio, che è fondamentalmente ciò di cui la gente comune ha bisogno per guadagnarsi da vivere. Ma è essenzialmente organizzato attorno alla finanza. Vale a dire, nell’indebitamento di individui comuni, imprese, imprese produttive e governi. Ed è incentrato sulla creazione di mercati di asset speculativi. E questo strangola anche la produzione. Vale a dire che la gente comune nei paesi poveri non solo deve lavorare sodo per guadagnare dollari, ma deve lavorare irragionevolmente duramente perché il dollaro è irragionevolmente sopravvalutato. E ora, con la recrudescenza dell’inflazione che non può combattere se non aumentando i tassi di interesse, la Federal Reserve è intrappolata tra l’incudine e il martello: se aumentano troppo i tassi di interesse, l’intero castello di carte finanziario crolla. E se non li alza, l’inflazione farà crollare il dollaro agendo da freno sull’economia e sul sistema finanziario. Quindi, in questa lettura, il ritorno dell’inflazione è essenzialmente una crisi del sistema stesso del dollaro. Giappone e Cina sono i maggiori detentori di dollari Usa e questo spiega perché stiano anche passando all’oro, ipotizzando una valuta artificiale, come l’oro di carta, solo che non è oro. E’ qualcosa che sarà definito politicamente dai paesi che vi aderiranno come qualcosa come il “bancor” di Keynes o una sorta di credito che possa essere utilizzato solo tra le banche centrali, tra i governi. E questo è ciò di cui gli Stati Uniti hanno davvero paura. Il sistema del dollaro oltre che sulla finanza (e non sulla produzione) si basa inoltre sulla concentrazione di tutti i monopoli naturali Usa: il monopolio della proprietà delle riserve di petrolio e gas, il monopolio della tecnologia informatica, informatica, farmaceutica e sanitaria. Il sistema del dollaro è in realtà una concentrazione di rendite di monopolio nei dollari degli Stati Uniti, che dovrebbe creare solo, spiegano alcuni analisti, un enorme aumento del valore di borsa di Amazon e Google. E questa è la chiave. Questo è l’intero sistema che deve essere compreso. Pechino, a differenza di Washington, non ha tentato alcun tentativo di fare proselitismo sulla sua filosofia economica, che le ha permesso di svilupparsi come alternativa alla filosofia statunitense. E ora non resterà certo a guardare.
Raffaella Vitulano

( 18 maggio 2023 )

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