Venerdì 19 aprile 2024, ore 21:49

Riforme 

Autonomia differenziata, scommessa del Governo 

Il treno per l’autonomia differenziata è partito. La bozza Calderoli è stata trasformata in un disegno di legge limato fino all’ultimo e approvato giovedì sera dal Consiglio dei ministri all’unanimità. Esulta dunque il Ministro leghista per gli Affari regionali, padre della riforma, che parla di ”giorno storico” di ”riforma necessaria per modernizzare l'Italia”, convinto che la legge andrà in porto per la fine del 2023 come promesso. Sceglie toni più misurati la premier Meloni, che non ha partecipato alla conferenza stampa dopo il Cdm, ma accoglie il voto come il primo step per ”costruire un'Italia più unita, più forte e più coesa”. In realtà quello di giovedì è il primissimo ok di un percorso che si preannuncia più lungo di una riforma costituzionale (che richiede quattro passaggi tra Camera e Senato e altrettanti voti). Un percorso tortuoso, visto che coinvolgerà Governo, Parlamento, Conferenza unificata e Regioni in un ping pong complesso che potrebbe scatenare anche il fuoco amico nella maggioranza. Forza Italia e Fratelli d'Italia temono infatti che la riforma finisca per penalizzare le regioni del Sud, dove entrambi contano un ampio bacino di voti.
Dure le opposizioni, che contestano una riforma già ribattezzata ”spacca Italia” per i rischi paventati di acuire le disparità tra Regioni. Il Pd annuncia barricate contro una proposta giudicata ”irricevibile”. Sottolinea il candidato alla segreteria Bonaccini: ”Siamo pronti alla mobilitazione perché non è stata condivisa con la Conferenza delle Regioni, cosa clamorosa e incredibile, e perché è un’autonomia differenziata che non tiene conto delle nostre proposte e va nella direzione di spaccare il Paese”. Elly Schlein, sua rivale nella corsa al vertice del Nazareno, sollecita i governatori del Sud e in particolare quelli Dem - da sempre ostili o scettici sul progetto Calderoli - perché chiedano una convocazione urgente della Conferenza Stato-Regioni ”che è stata ignorata e umiliata dal governo e da Calderoli che non ha voluto fare un passaggio preventivo col voto delle Regioni”. Per la presidente di Azione Carfagna ”il sì unanime del Consiglio dei ministri è il cedimento più grave alla propaganda della Lega, che voleva esibire a tutti i costi la riforma come trofeo prima delle Regionali. Salvini e Calderoli vincono, Meloni e l’Italia perdono”.
Il provvedimento è commentato anche dai sindacati. Osserva il leader della Cisl Sbarra: ”Attendiamo di conoscere i contenuti definitivi per una valutazione compiuta. La Cisl non ha posizioni pregiudiziali: una riforma solidale, ben concertata, può aiutare ad elevare efficienza ed efficacia dei servizi, responsabilizzando gli amministratori locali e semplificando tante procedure. Dovrà però rafforzare e non indebolire l'unità e la coesione nazionale”. Aggiunge Sbarra: ”Bisognerà partire dalla definizione condivisa dei livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi fabbisogni e costi standard, connessi a diritti di cittadinanza che lo Stato deve garantire in modo uniforme sull' intero territorio nazionale. Altrettanto importante è assicurare adeguate forme di perequazione per i territori con minore capacità fiscale, a partire dal Mezzogiorno e dalle aree interne del Paese. Riteniamo poi che una riforma di tale importanza debba essere progettata ed attuata con il pieno coinvolgimento del Parlamento, del sistema della Autonomie locali e delle parti sociali. Chiediamo al Governo di aprire un confronto che assicuri la più ampia partecipazione ai processi decisionali”.
Cosa prevede il ddl.
Semplificare le procedure, accelerare e sburocratizzare i procedimenti, per una distribuzione delle competenze alle Regioni che meglio si conformi ai principi di sussidiarietà e differenziazione, nel rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, indivisibilità e autonomia e in attuazione del principio di decentramento amministrativo. Questo l’obiettivo della legge quadro di dieci articoli, che va sotto l’intestazione ”Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario”.
Solo in Valle d'Aosta, Umbria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Friuli-Venezia Giulia nel 2019 il 33% dei bimbi sotto i tre anni avevano un posto garantito all'asilo nido. E disomogeneità simili si trovano in vari settori, dalla formazione alla salute, dall'istruzione alla tutela dell'ambiente. Per provare a colmare i divari, nel 2001 è stato introdotto in Costituzione il concetto dei Livelli essenziali delle prestazioni, che ora sono il fulcro del ddl approvato giovedì sera dal Cdm. Se una Regione vorrà esercitare una funzione finora in capo allo Stato, dovrà rispettare gli standard minimi dei Lep - che prima però devono essere definiti con un decreto del presidente del Consiglio - nonché costi e fabbisogni standard. Un testo nato per dare attuazione a quel percorso di intesa con lo Stato, delineato dall'articolo 116 della Costituzione e già avviato negli anni scorsi da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
L’attribuzione di funzioni è subordinata alla determinazione dei Lep - previsti dalla Costituzione ma non ancora definiti -, che garantiscano i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, non solo per le Regioni che avviano l'intesa, e solo dopo che siano stanziate le risorse per coprire nuovi o maggiori oneri.
I Lep sono determinati con Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, per "il pieno superamento dei divari territoriali", come affermato nel testo dell'ultima legge di bilancio che ha istituito a Palazzo Chigi una cabina di regia, composta dal premier, dal ministro per gli Affari regionali, quello per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, quello per le Riforme istituzionali, quello dell'Economia, oltre ai ministri competenti, il presidente della Conferenza delle Regioni, e quello dell'Associazione nazionale dei comuni italiani. Il compito della cabina di regia è individuare i Lep in un anno (con una ricognizione sulla spesa storica dell'ultimo triennio dello Stato in ogni Regione), quindi entro fine 2023, sulla base delle ipotesi della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, e d'intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni-Città. Scaduto il termine di un anno, toccherà a un commissario. Le Camere hanno 45 giorni per il parere, prima che il Dpcm sia adottato. Il finanziamento dei è approvato per legge, se determinano oneri aggiuntivi per lo Stato. Se nel corso del tempo i Lep cambiano, la Regione deve rispettarli dopo la revisione delle risorse.
L’iter per l’intesa dura almeno cinque mesi. Il ministro dell'Economia e quelli competenti hanno 30 giorni per valutare la richiesta della Regione, dopo che è stata trasmessa al presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionali. Poi si apre un negoziato con la Regione per l'intesa preliminare, approvata poi dal Cdm e trasmessa alla Conferenza unificata che, a sua volta, ha 30 giorni per il parere. Quindi va alle Camere: i competenti organi parlamentari hanno 60 giorni per atti di indirizzo. Successivamente il premier (o il ministro per gli Affari regionali) predispone l'intesa definitiva (con eventuale ulteriore negoziato). La Regione la approva, ed entro 30 giorni è prevista la delibera in Cdm. Il disegno di legge è trasmesso alle Camere che votano a maggioranza assoluta. L'iter dei ddl del governo in media nell'ultima legislatura è durato 81 giorni al Senato e 69 alla Camera.
Le risorse umane, strumentali e finanziarie per l'esercizio delle funzioni sono determinate da una commissione paritetica Stato-Regione. Il finanziamento avviene attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi o entrate erariali regionali. Le intese hanno durata massima di 10 anni. Stato o Regione possono chiederne la cessazione, deliberata con legge a maggioranza assoluta dalle Camere. Alla scadenza, l'intesa si intende rinnovata per la sua durata, salvo che Stato o Regione manifestino volontà diversa un anno prima del termine. Il governo dispone verifiche sulle attività e sul raggiungimento dei Lep. La commissione paritetica svolge annuali valutazioni sulla compatibilità e gli oneri finanziari.
La legge prevede misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale: anche nelle Regioni che non concludono intese, lo Stato promuove l'esercizio effettivo dei diritti civili e sociali, anche con interventi speciali. Dalla legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Giampiero Guadagni

( 3 febbraio 2023 )

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