Venerdì 26 aprile 2024, ore 12:51

Intervista 

“Piano Solo, la tesi del complotto grave errore della sinistra” 

Nella primavera del 1967 il settimanale “L’Espresso”, allora diretto da Eugenio Scalfari, pubblica un articolo di Lino Jannuzzi in cui è scritto che, tre anni prima, il Comandante dell’Arma dei Carabinieri, generale Giovanni De Lorenzo, con la protezione del Presidente della Repubblica Antonio Segni, aveva ordito un colpo di Stato. Nell’estate del 1964 era entrato in crisi il primo governo di centrosinistra presieduto da Aldo Moro, governo nato nel dicembre del 1963 con ministri socialisti e con il leader del Psi, Pietro Nenni, vicepresidente del Consiglio.
Secondo “L’Espresso” Antonio Segni, volendo approfittare della crisi di governo per interrompere l’esperienza di centrosinistra, aveva incoraggiato De Lorenzo a predisporre un intervento straordinario per l’ordine pubblico che si configurava come un vero e proprio golpe. Dal maggio del 1967 alla fine del 1970 la vicenda impegnerà le Camere in ben nove dibattiti e sarà oggetto di tre commissioni d’inchiesta e di numerosi processi, che esclusero però l’ipotesi golpista.
Su questa storia che fa parte dei misteri italiani è appena uscito, edito da Rubettino, un libro dal titolo “Il colpo di Stato del 1964. La madre di tutte le fake news”. Autore è Mario Segni - figlio dell’ex capo dello Stato - che sulla base dei documenti, dei dibattiti processuali e delle motivazioni alle relative sentenze, ricostruisce la vicenda con il dichiarato intento di smontare pezzo per pezzo il castello accusatorio. Tuttora tenuto in piedi da una parte della storiografia.
D) Professor Segni, intanto inquadriamo storicamente la vicenda di cui parla nel suo libro. Nel 1964 il miracolo economico italiano ha perso la sua forza propulsiva. A luglio c’è il complesso passaggio dal primo al secondo Esecutivo Moro. Secondo l’allora presidente della Repubblica Antonio Segni, suo padre, l’ingresso dei socialisti nel governo aveva aggravato la situazione. Su quali dati reali si fondava questo allarme ? E da chi era condiviso?
R) La gravità della crisi economica del 1964 è un dato incontestabile: dopo oltre dieci ani di miracolo economico, in cui il Pil era salito per più di dieci anni consecutivi di oltre il 5% annuo, dopo l'Oscar della stabilità alla lira del 1960, l’Italia si ritrovò improvvisamente con una forte ripresa della disoccupazione e dell'inflazione. Era diffusa la convinzione che a determinarla fossero stati due provvedimenti del governo Fanfani (prima di Moro): la nazionalizzazione delle imprese produttrici di energia elettrica e la cedolare secca. L’allarme più grave e la richiesta più forte di un cambiamento della politica economica venne prima di tutto dal governatore della Banca d’Italia, Guido Carli. È singolare che per anni sia stato rimproverato al Presidente della Repubblica di ascoltare troppo i suoi consiglieri economici, il primo dei quali era proprio il Governatore della Banca d'Italia. Ma gli effetti esplosivi delle difficoltà economiche arrivarono prima della apertura della crisi, in primo luogo con una pubblica dissociazione dalla politica del governo del ministro del Tesoro Colombo; in secondo luogo con una clamorosa visita a Roma del vice presidente della Comunità europea Marjolin. Le difficoltà della economia avevano messo in crisi il centro sinistra prima ancora che si aprisse la crisi.
D) Il contesto internazionale è fondamentale: siamo in piena Guerra fredda, il mondo è diviso in due blocchi secondo la logica di Yalta. Non è certo complottismo pensare che un Paese, tanto tra quelli appartenenti alla Nato quanto tra quelli del Patto di Varsavia, preparassero piani di emergenza per fronteggiare pericoli per la sicurezza interna ...
R) Certo, ma per fortuna l’Italia aveva già da tempo appressato piani di emergenza per problemi di ordine pubblico. I più importanti furono quelli predisposti nel 1961, chiamati ”piani Vicari” dal nome dell’allora capo della Polizia. La crisi del 64 e la gestione di De Lorenzo non apportarono quindi nulla di nuovo su questo piano. Il cosiddetto piano Solo fu una semplice bozza mai entrata in funzione, che comunque ricalcava misure già in atto.
D) Detto tutto questo, lei dice senza alcun dubbio: nel luglio 1964 non c’è stata alcuna pressione di tipo militare per iniziativa del comandante dei carabinieri De Lorenzo al fine di bloccare la nascita del centrosinistra. Insomma: nessun tentativo di golpe. Su cosa fonda questa certezza ?
R) C’è un argomento dirimente: due anni dopo la crisi De Lorenzo viene nominato capo di Stato maggiore dell’Esercito. Presidente della Repubblica è Saragat, Presidente del Consiglio Moro, suo vice Nenni. Gli stessi uomini cioè contro i quali si sarebbe diretto il tentativo di golpe, la minaccia. Ma è credibile? Come si può pensare che tre statisti illustri nominino al vertice di tutto l’esercito l’uomo che, secondo il racconto di Scalfari e dell’Espresso, li aveva minacciati, li aveva costretti a cambiare politica con la organizzazione di un golpe? E infatti tutti e tre hanno sempre negato l’esistenza di un disegno eversivo. La forza della campagna accusatoria è arrivata a farci credere che Nenni abbia denunciato il complotto. È falso: in tutte le sue dichiarazioni (L'Avanti, il diario, il Tribunale, La commissione di inchiesta, la commissione stragi, Nenni ha sempre escluso la esistenza di una iniziativa militare. E stata una formidabile fake news quella che per decenni è riuscita a far credere il contrario agli italiani.
D) Il processo del 1968 ha negato ogni disegno eversivo, condannando gli autori del presunto scoop, il direttore dell’Espresso Scalfari e il giornalista Lino Iannuzzi. Tuttavia, storiografia e opinione pubblica di sinistra ancora oggi evoca la strategia golpista del 1964. Come se lo spiega?
R) Ha risposto molto bene Agostino Giovagnoli, nella sua introduzione al libro. Il grande errore della sinistra è stato quello di non avere riconosciuto le proprie colpe, e di essersi adagiata sulla comoda tesi del complotto come causa di tutti i problemi. È stata una decisione nefasta perché ha ritardato la maturazione della sinistra italiana. E soprattutto perché, diffondendo l’idea dello Stato violento, ha fornito al terrorismo rosso che stava nascendo un formidabile argomento: se lo Stato è violento bisogna rispondere con la violenza.
D) La campagna giornalistica sul Piano Solo inizia nel 1967. Due anni dopo con Piazza Fontana inizia la terribile stagione delle bombe e degli anni di piombo. Da quella vicenda apparato e servizi segreti militare hanno certamente subìto un contraccolpo: quanto ha inciso sulla capacità dello Stato soprattutto nei primi tempi di fronteggiare il terrorismo e in particolare il sequestro Moro?
R) L’effetto fu enorme. Il sequestro Moro colse le forze dell'ordine nel pieno del tentativo di riorganizzazione, dopo gli eventi traumatici per i militari della campagna sul Sifar, che non aveva niente a che vedere con lo scoop dell’Espresso e la campagna sul piano Solo. Ricordo che in quei giorni lo sbandamento della polizia era avvertito da qualunque cittadino. Giuseppe Pisanu, in quel momento capo della segreteria di Zaccagnini e più tardi ministro dell'Interno, mi raccontò di avere constatato i terribili effetti del fatto che le forze dell’ordine fossero prive di piani di intervento, visto che tutte le disposizioni precedenti erano state praticamente annullate. L'opinione pubblica, del tutto impreparata a un attacco terroristico, ci mise molto a comprendere che la sorveglianza e il controllo dei gruppi eversivi e delle persone pericolose per lo Stato è una condizione essenziale per la difesa della democrazia.
D) In quest’ultimo anno l'Italia, come del resto tutto il mondo, sta affrontando un'altra emergenza: quella sanitaria ed economia, legata alla pandemia. In tale contesto affrontare il tema delle riforme, anche quelle istituzionali, è una perdita di tempo oppure può essere la base su cui poggiare la ricostruzione?
R) Sono più che mai convinto che l’Italia abbia assolutamente bisogno di riprendere il cammino delle grandi riforme istituzionali che avevamo portato con i referendum. Ma oggi affrontare questo compito è impossibile. Il governo Draghi ha realizzato una preziosa convergenza nazionale che deve limitarsi all’obiettivo per cui è nata: combattere la pandemia e i suoi terribili effetti non solo sul piano sanitario ma anche su quello economico e sociale.
Giampiero Guadagni

( 16 aprile 2021 )

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