Sono quasi 8.500 i posti di lavoro a rischio in Friuli Venezia Giulia a causa del caro energia. Il dato è emerso da un monitoraggio del dipartimento Industria della Cisl regionale. Su un campione di 64 realtà industriali sindacalizzate della regione, 8.429 lavoratori risultano interessati da percorsi di crisi. Un numero di rilievo se si considera che i lavoratori totali occupati nelle medesime aziende sono 12.997, vale a dire che ben più della metà è coinvolta da ammortizzatori sociali o altri strumenti di crisi attivati dalle imprese. Un dato che fa riflettere soprattutto se comparato a quello dello stesso periodo pre-Covid, quando le aziende in crisi risultavano 80, ma i lavoratori in difficoltà 7.698 sui 12.165 totali, quindi al di sotto di quelli attuali. “Questo ci dice che la situazione di crisi è in qualche modo strutturale e che il caro energia rischia di essere la miccia ad alto impatto esplosivo - commenta Cristiano Pizzo, segretario Cisl Fvg con delega all’Industria.
Dai dati emerge che la mancanza di ordinativi e le crisi di settori rappresentano cause pesanti, riguardando rispettivamente 17 e 15 realtà industriali, ma il caro-energia va ad aggiungere un carico di tensione con 25 realtà industriali che denunciano difficoltà nel sostenere i costi di gas e luce. Molto più marginali risultano la mancanza/prezzi delle materie prime, i fallimenti ed altro. Mancanza di ordinativi e crisi di settore erano, infatti, le voci prevalenti del periodo pre-Covid con 19 e 24 aziende coinvolte su 80 monitorate.
A pagare il conto più alto, sotto il profilo dell’occupazione, sono anche oggi le aziende metalmeccaniche del Friuli Venezia Giulia, che registrano 2.865 lavoratori in difficoltà sui 4.987 impiegati nelle imprese considerate. Numeri che arrivano a 3.318 se si sommano anche gli addetti della siderurgia. Seguono a distanza i comparti del legno (1.231), delle telecomunicazioni (385) e i cartai (785), i più colpiti dalla crisi energetica. Alta l’attenzione anche sulla chimica, e sulle aziende che si occupano della seconda lavorazione del vetro. Su 9 aziende in difficoltà mappate, 6 hanno già attivato percorsi di crisi, mentre le altre stanno in questi giorni valutando la possibilità di modificare gli orari e i turni di lavoro per resistere al caro-bollette.
Per quanto riguarda i territori in sofferenza, se nel periodo pre-Covid era la provincia di Udine a pagare il prezzo più alto con 33 imprese su 80 in crisi, l’ultimo monitoraggio del dipartimento Industria Cisl regionale vede un ribaltamento con Pordenone che supera gli altri territori e segna il record peggiore, sia per numero di aziende coinvolte (23), sia per numero di lavoratori inseriti in percorsi di crisi, vale a dire 3.476, seguiti dai 2.438 dell’Alto Friuli, dai 1.362 di Trieste e Gorizia, dai 738 di Udine e dai 415 addetti di aziende considerate regionali.
“Certamente si tratta di dati assolutamente parziali - continua Pizzo - ma pur significativi, che ci fanno preoccupare per il numero potenziale dei lavoratori coinvolti in regione da percorsi di crisi, che vanno dagli ammortizzatori sociali tradizionali al licenziamento. Basti solo pensare allo scenario di Wartsila”. Una fotografia, quella del lavoro che, secondo la Cisl, resta a luci ed ombre perché se, da una parte il dato occupazionale è in generale in tenuta (come riferiscono gli ultimi report della Regione) dall’altra le oscillazioni del prezzo dell’energia stanno compromettendo la tenuta del sistema facendo lievitare i costi delle bollette, mentre gli ammortizzatori sociali attivati (la cig riguarda 46 delle 64 aziende monitorate) decurtano le buste paga.
Sa. Ma.