Nel cuore produttivo delle Marche, il settore moda-tessile -calzaturiero continua a rappresentare un pezzo fondamentale dell’identità industriale del territorio. Ma oggi questa identità è messa alla prova da dinamiche globali complesse, dalla concorrenza internazionale, dalla frammentazione della filiera e da un ricambio generazionale ancora troppo timido. Ne parliamo con Piero Francia, segretario generale della Femca Cisl Marche, per comprendere quali siano le luci e le ombre del comparto, il ruolo del sindacato nella transizione produttiva, le criticità occupazionali e le strade possibili per valorizzare le competenze e costruire il futuro di un settore che ha ancora molto da dire.
Occupazione, cassa integrazione, crisi aziendali: qual è oggi la fotografia reale del settore moda, tessile e calzaturiero nelle Marche?
Il comparto moda, che rappresenta uno degli assi portanti dell’economia regionale, sta attraversando una fase di forte rallentamento, in particolare nei segmenti del lusso e della calzatura. Nel tessile-abbigliamento si registra una contrazione significativa, con un calo del 30% nel segmento del lusso. Il calzaturiero, dopo un periodo di ripresa seguito alla pandemia, sta ora affrontando una nuova e preoccupante fase di flessione. I dati del primo trimestre 2025 fotografano un peggioramento: le ore di cassa integrazione guadagni (Cig) sono aumentate del 366% nel tessile e del 75% nel calzaturiero, rispetto a un 2024 già critico per quest’ultimo. Parallelamente, si assiste a una perdita strutturale di occupazione: nel comparto pelli e calzature si contano oltre 3mila addetti in meno rispetto al 2015. Anche le richieste di Fsba - il fondo di solidarietà per l’artigianato - sono quasi triplicate rispetto al 2023, a conferma del crescente disagio nelle piccole realtà produttive. Non bastano più tavoli e buone intenzioni: serve subito una deroga straordinaria agli ammortizzatori sociali che dia ossigeno alle microimprese dell’artigianato moda. Una risposta concreta. A preoccupare sono anche i segnali provenienti da aziende di maggiore dimensione, dove l’incremento della Cigo e l’avvio delle prime procedure di mobilità indicano una tensione crescente anche ai livelli più strutturati della filiera.
Luci ed ombre, dove si concentrano i nodi irrisolti?
Assistiamo ad un’assenza di una vera politica industriale, ad una fragilità delle microimprese, c’è una disconnessione tra offerta formativa e bisogni produttivi e alla contrattazione aziendale si dedica sempre meno attenzione. Tuttavia, accanto a questo scenario problematico, emergono anche segnali di tenuta. Resistono e crescono le imprese inserite in filiere solide, capaci di innovare sul piano della sostenibilità, che lavorano su commessa, evitano l’accumulo di magazzino e diversificano i mercati di riferimento. Realtà che dimostrano come, anche in un contesto difficile, sia possibile immaginare traiettorie di rilancio e sviluppo.
E poi c’è il Tavolo regionale della Moda e delle politiche di filiera che rappresenta sicuramente un’occasione importante di confronto tra istituzioni, imprese e sindacati. Quali risultati concreti ha prodotto finora?
Il Tavolo regionale della Moda e delle politiche di filiera delle Marche ha segnato un cambio di passo nel confronto tra istituzioni, imprese e sindacati. Non più solo un luogo di dialogo, ma una vera e propria regia condivisa, capace di generare prime risposte concrete alle difficoltà del comparto. Tra queste, spicca l’attivazione del bando ad occupazione garantita: una misura innovativa, voluta dalle parti sociali e accolta dalla Regione, che collega direttamente formazione e lavoro. Un’esperienza virtuosa, ma che oggi da sola non basta. Il quadro è cambiato rapidamente. Se nel 2023 l’urgenza era reperire manodopera, oggi la parola d’ordine è cassa integrazione. Serve progettazione non solo reazione. In questo senso, la scelta di puntare su “politiche di filiera” e non solo su singoli settori si rivela determinante: è nella filiera, infatti, che il lavoro si muove, si trasforma, si riorganizza. Ma senza un coordinamento adeguato, il rischio è alto: molte imprese, anche all’interno della stessa filiera operano in modo asincrono: mentre una entra in crisi e chiede ammortizzatori sociali, un’altra ha urgente bisogno di forza lavoro. In assenza di strumenti condivisi, il rischio è che i lavoratori vengano spinti verso passaggi informali tra aziende, spesso fuori da ogni tutela. Ne derivano concorrenza sleale, evasione contributiva, uso distorto degli ammortizzatori sociali e perdita di legalità e trasparenza nel sistema produttivo. Per questo, chiediamo con forza alla Regione Marche di fare un passo avanti: servono strumenti di matching tra domanda e offerta all’interno delle filiere, capaci di mettere in rete i bisogni reali delle imprese e garantire tutela ai lavoratori. Solo così sarà possibile difendere l’occupazione, contrastare gli abusi e rafforzare la tenuta industriale di un comparto che resta strategico per il futuro della nostra regione.
Formazione e innovazione, leve strategiche indicate da molti per il rilancio del settore. A che punto siamo nelle Marche?
Le nuove sfide chiedono che anche gli attori sociali si preparino a rispondere a mercati, domande e contesti in continua evoluzione. Per questo come Femca Cisl Marche abbiamo lanciato un percorso biennale di formazione congiunta fra sindacato e imprese: moduli per leggere i trend, condividere strumenti di analisi e sviluppare una cultura di sistema. Non più inseguire le crisi, ma prevenirle con osservatori di fabbisogni, banche dati condivise e momenti strutturati di ascolto reciproco. Il sindacato, così, passa da semplice erogatore di tutele a generatore di cultura d’insieme - quella stessa cultura che diventa la prima forma di tutela del lavoro.
E rispetto alla previdenza complementare nel settore moda qual è la tendenza?
In un sistema in cui manca liquidità e domina l’incertezza, anche i diritti diventano fragili. Oggi solo il 26-28% dei lavoratori aderisce ai fondi pensione. Non solo per mancanza di informazione - su cui anche noi come sindacato dobbiamo fare di più - ma perché in molte aziende il Tfr è una voce di bilancio priva di copertura reale. E quando un’impresa è in difficoltà, lo è anche il lavoratore: esercitare un diritto previdenziale, in quei casi, diventa un atto quasi impossibile. Il prezzo del risparmio indotto di oggi sarà il costo della povertà di domani. Giovani oggi, lavoratori per una vita, rischiano di diventare i nuovi poveri se non si investe - anche con il supporto delle parti sociali - in una previdenza complementare realmente accessibile, conosciuta, garantita.
In conclusione, quali strategie possono garantire un futuro sostenibile e competitivo?
La parola chiave per il futuro è partecipazione: non solo diritto, ma dovere condiviso. In un mondo ferito da guerre di tariffe, dumping sociale e paure diffuse, la vera emergenza è l’individualismo che isola e impoverisce. Partecipare significa aprire tavoli permanenti, condividere dati e visioni, usare l’intelligenza artificiale per collegare ciò che oggi è frammentato. Quando informazioni e responsabilità circolano, il sindacato smette di rincorrere le crisi e diventa motore di cultura di sistema. Così il lavoro torna antidoto all’impoverimento etico, culturale e sociale: il futuro non si subisce, si costruisce insieme.
Cinzia Castignani