L’indagine della Fim Cisl ha permesso di raccogliere i dati di 701 aziende metalmeccaniche collocate su tutto il territorio nazionale, che occupavano nel 2021 295.057 addetti. Si tratta di
uno spaccato importante dell’industria metalmeccanica italiana, certamente maggiormente concentrato verso le imprese medio grandi dove il sindacato è presente. In queste aziende l’occupazione è in crescita
del 2,5% rispetto all’anno precedente, segno di buona salute complessiva del settore, ma nel dettaglio l’occupazione femminile cresce in misura superiore del 4 % | La presenza dell’occupazione femminile è del 20,9%, pari a 61.664 lavoratrici occupate. Il settore metalmeccanico mantiene ancora una fortissima prevalenza di occupazione maschile.
Anche il ricorso al part time nel settore metalmeccanico è su livelli non elevati, arrivando a riguardare il 5,35% del totale degli occupati. Tuttavia quasi tutto il lavoro a tempo parziale riguarda le donne, che costituiscono l’81,8% dei lavoratori che vi ricorrono stabilmente. Inoltre il 20,44% delle donne occupate nel metalmeccanico ricorrono al part time.
Riguardo il welfare e gli strumenti di conciliazione questi sembrano essere presenti e disponibili, anche se in forma ridotta ed essenziale, alla quasi totalità delle lavoratrici e dei lavoratori. Infatti il 99% degli occupati hanno a disposizione strumenti di welfare.
Molto interessanti ed indicativi sono i dati relativamente alle politiche meritocratiche e retributive e alla diffusione dei superminimi individuali presso la popolazione lavorativa, che dimostrano la persistenza di un forte differenziale salariale di genere. Le donne infatti vedono riconosciuto un valore dei superminimi (elementi di retribuzione legati alla prestazione e alla professionalità) mediamente del 15% inferiori a quelli della media generale (per un valore di 3.444 euro annue contro i 4.065 percepiti in media, ad evidenziare come nel settore metalmeccanico il valore del lavoro e il suo riconoscimento anche economico e professionale sia in crescita). Tale differenziale si amplifica di molto fino al 43% nelle aziende dove non esiste contrattazione aziendale e si registrano anche differenze legate alla dimensione aziendale. Infatti nelle imprese sotto i 250 dipendenti il differenziale raggiunge il 32%, mentre si riduce al 9% nelle imprese sopra i 1000 dipendenti.