Smartphone, tablet, pc: oggetti di uso comune nella nostra vita quotidiana, che altrove sono all’origine dei peggiori crimini contro l’umanità. Colpa di una specie di sabbia nera chiamata Coltan, un minerale prezioso estratto dalle miniere del Congo che serve per produrre i supporti elettronici di cellulari e computer, la cui estrazione senza regole foraggia le bande militari che da anni portano avanti una delle tante guerre dimenticate del Continente africano, con milioni di morti, stupri e violenze ai danni della popolazione civile.
Non solo, ma visto che i minatori adulti costano di più, sebbene si parli di 18 centesimi al giorno, i militari preferiscono rapire i bambini congolesi e condannarli (vista anche la loro piccola taglia che li rende adatti) ai lavori forzati negli stretti cunicoli sottoterra per 9 centesimi l’ora. Per raccontare lo sfruttamento del lavoro minorile nella produzione dei cellulari, nel 2010 è stato girato il documentario Blood in the Mobile, diretto dal regista danese Frank Piasecki Poulsen. Nel testimoniare questo problema, che ha ormai assunto dimensioni internazionali, il cineasta scandinavo focalizza la sua attenzione sui minori che lavorano fino a settantadue ore consecutive nelle miniere di Bisie in Congo per estrarre il coltan. Blood in the Mobile documenta in maniera drammatica come le vittime più numerose del coltan siano proprio i bambini che, grazie alle loro piccole dimensioni, si calano nelle strettissime buche scavate nel terreno ed estraggono le grosse pietre che una volta frantumate daranno il prezioso minerale. Spesso vengono rapiti dai gestori delle miniere e trasformati in schiavi, in altri casi vengono venduti dalle loro stesse famiglie per pochi dollari, con il medesimo risultato finale. Il tutto con il complice assenso delle grandi aziende produttrici dei device che per il momento non hanno dimostrato, per la maggior parte, l’intenzione di fare un controllo della catena di produzione per verificare che i loro prodotti non arrivino sul mercato macchiati di sangue. In una recente classifica stilata da Greenpeace ai primi tre posti si sono piazzati nell’ordine l’azienda indiana Wipro, l’americana HP e la finlandese Nokia, che in questo modo si rendono direttamente complici dei crimini perpetrati ai danni della comunità congolese.
Del resto, pochi sanno quali siano esattamente le società che comprano il coltan, non è facile scoprirlo, perché ci sono decine di intermediari che passano dall’Europa, in particolare dal Belgio, di cui il Congo è stato una colonia (si sospetta che anche l’ex compagnia aerea di bandiera belga la “Sabena” trasportasse illegalmente il minerale).
Per porre fine a queste stragi, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il 29 novembre 2010, ha adottato la risoluzione 1952 che richiama gli Stati membri a mettere in atto misure di diligenza ragionevole per conoscere l’origine dei minerali e assicurarsi che il ricavato di quelli importati non vada a beneficio di uomini armati, compresi i militari dell’esercito congolese. Il primo a darvi seguito è stato il presidente americano Obama che ha firmato il Dodd-Frank Act. Una legge che prevede l’obbligo di certificazione di provenienza, con l’obiettivo di portare alla luce le aziende che si riforniscono nei giacimenti illegali del Congo. Peccato che fatta la legge si sia subito trovato l’inganno: le multinazionali, tranne quelle poche che hanno avuto i permessi del governo congolese, hanno iniziato ad acquistare il coltan a Kigali, in Ruanda; in questo modo il materiale risulta “pulito”. In camion, da Goma a Kigali sono meno di tre ore. Peccato che in Ruanda non esistano miniere di questo minerale. È tutta roba che proviene comunque dal Congo.
L’Europa, comunque, ha fatto ancora meno. Solo nel 2014 Bruxelles è arrivata ad elaborare un progetto di regolamento che istituisce un sistema Ue di autocertificazione per gli importatori di stagno, tantalio, tungsteno e oro che scelgono di importare tali risorse nell'Unione in modo responsabile. La proposta è attualmente in discussione al Parlamento europeo, che voterà un testo definitivo il 18 maggio a Strasburgo. I democratici e i Verdi hanno da sempre giudicato la proposta della Commissione europea “poco ambiziosa” perché fondata sull’impegno volontario delle imprese europee e hanno chiesto che il parlamento europeo approvi con urgenza la tracciabilità obbligatoria dei minerali del Congo. Una proposta bocciata dalla Commissione Industria e Commercio del Parlamento europeo, evidentemente più sensibile agli interessi dei colossi europei del settore Ericsson e Nokia che a quelle della popolazione congolese.
Tra poco meno di un mese al Parlamento europeo sarà data l’occasione di ribaltare quel voto, se non altro per lavarsi la coscienza di fronte all’Onu o agli Usa che per una volta sono stati “più etici” di noi. Non certo di fronte ai congolesi perché, come detto, l’operazione di “ripulitura” all’origine di questa preziosa materia prima, è già in atto da tempo.
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Blood in the mobile