Neppure fosse un automobile, uno dei siti manifatturieri più importanti d’Italia manca di pezzi di ricambio. Stiamo parlando nientemeno dell’ex Ilva e poi Arcelor Mittal, ma nei tempi passati (e belli) Italsider, simbolo metalmeccanico nel mondo. A denunciare la situazione dopo il periodo estivo è stata Fim Cisl. Spiega Nicola Appice, coordinatore rsu Fim Genova Cornigliano: “Nonostante le fermate estive degli impianti, sugli stessi non è stata fatta la necessaria manutenzione, con nuovi pezzi di ricambio, né tantomeno abbiamo constatato gli investimenti da tempo annunciati. Nello stabilimento di Cornigliano di Acciaierie d’Italia l’unica cosa certa è il perdurante silenzio dell’azienda e del governo. Al momento le tonnellate prodotte di banda stagnata e zincata risultano minori rispetto all’anno scorso, nonostante fosse stato definito in sede ministeriale un aumento della produzione da 3 a 4 milioni di tonnellate per il 2023 e 5 milioni nel 2024”. Quantità, afferma Appice, “assolutamente insufficiente rispetto alla possibilità e alla richiesta del mercato”. Mentre si assiste a “un aumento immotivato dei numeri della cassa integrazione”. Situazione di “incertezza sulla gestione e programmazione produttiva aziendale”, indica Appice, che ha portato all’uscita “volontaria di alcune importanti figure professionali, che non sono state neppure rimpiazzate. E le risorse stanziate, almeno finora, non hanno prodotto nessun segnale di ripresa e rilancio dello stabilimento”. Da qui la richiesta al governo di “convocazione urgente per un incontro al Mimit che definisca un piano industriale di rilancio con un preciso crono programma degli investimenti e degli interventi per rilanciare la siderurgia e il sito di Genova”. Ed appello alle istituzioni locali perché “facciano pressione affinché ciò avvenga in tempi rapidi ed anch’esse fino ad ora troppo silenti sul caso”.
“Il rilancio delle acciaierie genovesi - assicura Appice - non riguarda solo i dipendenti diretti ma ha ricadute in tutto il territorio che non vive solo di eventi e turismo”. Sta di fatto che il clima nell’azienda di Cornigliano è pesante: “I lavoratori sono esausti dalla cassa integrazione - osserva Appice - che continua e non da segni di mollare la presa e ciò fa si che il tenore di vita dei lavoratori è ora al limite della povertà. Tra inflazione che ha fatto balzare i prezzi delle bollette, il costo della benzina, la spesa che ormai con 50 euro si esce dal negozio con sacchettini ridicoli e il tutto unito a buste paghe penalizzate dalla cassa integrazione, che ha reso il tenore di vita dei lavoratori, una volta dignitoso, oggi quasi di povertà. Su 965 dipendenti 150/200 sono a casa in cassa, a rotazione, con media pro capite da 4 ai 10 giorni di cassa al mese. Pesantissime le conseguenze in busta paga. Anche chi è più fortunato e fa solo 4 giorni al mese ne risente molto. Tutto questo rischia di sfociare in una bomba sociale. Vedo che tanti lavoratori attingono dal tfr, chiedono anticipi, prelevano dai fondi pensione. E’ sintomo grave di malessere, con lo stipendio non riescono a chiudere i conti del mese. Ma la cosa più tragica è che i lavoratori continuano a credere al futuro dell’acciaio, ma il problema è che non basta ci creda il lavoratore, serve la volontà dai piani alti. Non tanto i dirigenti su Genova che ce la mettono tutta. Non dipende da loro la mancanza di acquisto di pezzi di ricambio. Secondo noi Arcelor ha escogitato un piano per appesantire pure la burocrazia per gli acquisti, perché venga rallentato e complicato tutto. Occorrono tante firme prima di arrivare a Milano, all’Ufficio Acquisti. Tutto macchinoso e studiato ad hoc a nostro parere. Ai tempi di Riva i pezzi arrivavano subito, c’era interesse e più producevano gli impianti, più i lavoratori guadagnavano con premi collegati alle produzioni. Ora ai vertici dell’azienda pare non ci sia volontà di produrre.
Dino Frambati