Restano tesi i rapporti tra Bnl e sindacati. La banca guidata da Elena Goitini non intende arretrare rispetto ai suoi piani, che prevedono l’e sternalizzazione di oltre 800 lavoratori concentrati nelle attività di It e back office e la chiusura di 135 filiali. La trattativa sulla riorganizzazione aziendale si è chiusa con un nulla di fatto; difficile che il tentativo di conciliazione, avviato dai sindacati con una lettera indirizzata sia a Bnl che all’Abi, produca un risultato diverso. Lo sbocco più probabile della mobilitazione resta al momento lo sciopero.
Del resto i segnali che arrivano dai vertici della banca controllata dal 2006 dalla francese Bnp Paribas sono tutt’altro che rassicuranti. In un’inter vista concessa di recente al Corriere della Sera Goitini è parsa determinata a tirare dritto. Secondo l’ad, infatti, a Bnl servono “scelte industriali capaci di tenerci al passo con l’evoluzione tecnologica. Come banca dobbiamo focalizzarci sulle cose che sappiamo fare bene: gestire il risparmio, affiancare le imprese, le famiglie anche per rispondere ai nuovi bisogni. Laddove è necessaria la scala, come, ad esempio, nell’IT, vogliamo sviluppare partnership, per accelerare e, allo stesso tempo, valorizzare le persone. Stare al passo con il nostro capitale digitale e umano”.
Il timore dei sindacati è che Bnl faccia scuola e che altre banche seguano il suo esempio: “Non possiamo accettare che le banche perseguano una maggiore redditività utilizzando la leva dei tagli al personale e alle filiali - attacca il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani. La desertificazione bancaria colpisce le persone più fragili, soprattutto gli anziani, e i territori più svantaggiati. Il caso Bnl è emblematico: una banca che registra ottimi risultati di bilancio, migliori addirittura rispetto a quelli dei primi cinque gruppi italiani, si pone l’obiettivo di entrare tra le prime tre per redditività e per centrarlo è pronta ad espellere dal perimetro aziendale 836 lavoratori su circa 11mila e a chiudere 135 filiali su 705. Il suo disegno - aggiunge - è quello di abbandonare il territorio per concentrarsi sulla gestione dei grandi patrimoni, per trasformarsi cioè in una boutique finanziaria. Di fronte a questa realtà
la politica è chiamata ad intervenire per evitare che il profitto dell’azionista finisca per penalizzare il Paese”.
Secondo il numero uno dei bancari della Cisl la tendenza a privilegiare l’interesse degli azionisti caratterizza tutto il sistema bancario italiano: i piani d’impresa lo dimostrano chiaramente. “Quello appena presentato da Banco Bpm - osserva Colombani - punta per il 2024 ad una redditività del patrimonio netto tangibile superiore al 9%, un obiettivo che, in un’e poca di tassi negativi, rischia di non rientrare in una cornice di sostenibilità sociale”.
La prossima data da cerchiare in rosso sul calendario è proprio quella odierna: giornata in cui Unicredit presenterà il piano messo a punto dall’ad Andrea Orcel. Piano che, secondo quanto riportato da Bloomberg nei giorni scorsi, dovrebbe prevedere circa 3mila nuove uscite, oltre alle 3.900 collegate al vecchio piano e ancora da realizzare. “Sappiamo che il digitale avrà un ruolo importante nella strategia del gruppo, ma all’ad Andrea Orcel - avverte Colombani - diciamo che l’implementazio ne dei modelli di servizio incentrati sulle nuove tecnologie deve essere graduale. Al tempo stesso va garantita la crescita professionale dei lavoratori e delle loro competenze in un disegno organico di gestione condivisa prevista dal contratto nazionale attraverso la Cabina di regia”.
Carlo D’Onofrio