Duecentocinquanta milioni di euro per il settore della moda nel 2025. E’ quanto il governo ha messo sul piatto al Mimit durante il tavolo del settore. “Una scelta strategica per sostenere un comparto che rappresenta l’eccellenza del made in Italy e un pilastro della nostra economia -afferma il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso -. Una cifra significativa messa a disposizione attraverso strumenti concreti per dare alle aziende della moda la stabilità e la fiducia di cui hanno bisogno per tornare a crescere”. E sì perché il settore da qualche anno sta attraversando una forte crisi che vede molte aziende chiudere o fare ricorso agli ammortizzatori sociali. Secondo quanto si apprende i 250 milioni sono così ripartiti: 100 milioni sono destinati ai contratti di sviluppo, altri 100 milioni ai mini contratti di sviluppo, 15 milioni accompagneranno la transizione ecologica e digitale e 30,5 milioni per promuovere la sostenibilità nel settore. Per il ministro si tratta di risorse che mirano a valorizzare le eccellenze e a sostenere un modello di sviluppo innovativo e sostenibile. “La moda italiana non è solo un simbolo di stile - afferma - ma una risorsa strategica per il futuro economico del Paese”.
La moda, infatti, rappresenta un asset strategico e simbolo del Made in Italy con 100 miliardi circa di fatturato e un export atteso di 90 miliardi nel 2024. “Ma - prosegue Urso - non è solo economia, la moda è anche cultura, storia, identità, appunto uno stile di vita che guarda alla qualità e alla cura della persona. Per questo il settore è al centro della nostra politica industriale, come dimostra la nuova denominazione del ministero”. Il ministro ha tenuto a sottolineare che l’emergenza del comparto moda è stata affrontata “sia sul piano finanziario sia sul piano sociale, con il patto per il riscadenzamento dei prestiti e con la cassa integrazione in deroga per le piccole e micro imprese della filiera”. E insiste: “Ora dobbiamo passare alla fase del rilancio produttivo”.
Da parte loro i sindacati Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil hanno le idee chiare ed hanno stilato un piano in cinque punti sul rilancio del settore: politica industriale complessiva che valorizzi la seconda manifattura italiana per numero di addetti, con l’adozione di interventi a sostegno delle imprese e degli investimenti nel nostro Paese; riforma e rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, inclusiva di tutti i lavoratori del comparto; attenzione alle politiche di filiera e di sostenibilità, che considerino legalità, salute e sicurezza come elementi prioritari; impegno diretto e costante del Ministero delle Imprese e del Made in Italy sui singoli Tavoli di crisi; Tavolo permanente per concordare eventuali azioni correttive, che a partire da casi di deindustrializzazione dei distretti, valuti atti concreti per contrastare il fenomeno. “In primo luogo - affermano le organizzazioni sindacali - è necessario che l’intera filiera sia trasparente in termini di legalità, responsabilità solidale, applicazione contrattuale. Concorrenza sleale e dumping contrattuale, economico e normativo, forme distorte di esternalizzazione, non sono più accettabili. In tal senso sarebbe opportuno intervenire in maniera più efficiente sul cosiddetto “eccessivo appalto”, che crea un’articolata struttura di aziende, spesso non in regola e difficilmente controllabili, con evidente rischio anche per la salute e la sicurezza dei lavoratori”. Per Filctem, Femca e Uiltec “sarebbe auspicabile applicare le norme esistenti, quali ad esempio la regolamentazione della responsabilità in solido tra il terzista e i suoi committenti per le contribuzioni non versate, prevista dall’art.29 del d. lgs 276/2003, poi convertito con legge 296/2006 e riconosciuto valido per tutto il lavoro esternalizzato. I committenti dovrebbero operare con l’ufficializzazione dei contratti, per fronteggiare la debolezza delle aziende terziste, già provate da una compressione dei compensi. In questo senso è necessario che vi siano strumenti per superare il limite dimensionale, favorendo la creazione di consorzi, accordi di rete, fusioni societarie, con il sostegno pubblico, per garantire alle singole realtà il rispetto delle norme europee su tracciabilità, transizione energetica, digitalizzazione ed economia circolare”.
Necessario, inoltre, un intervento sulle politiche energetiche e una sostanziale rivisitazione delle normative a sostegno del Made in Italy. “Gli incentivi alle imprese - affermano - dovrebbero essere di facile e rapido accesso, sostenere lo sviluppo dei processi aziendali e favorire la crescita professionale degli addetti del settore, a fronte di specifiche condizionalità legate al mantenimento della buona e stabile occupazione”.
In merito al nuovo modello di gestione delle vertenze sindacali, annunciato dal Mimit, per i sindacati non è condivisibile la decisione di decentrarla a livello regionale nel caso di aziende fino a 250 dipendenti:“Sottrarsi al proprio ruolo di Governo e di regia nazionale, in un momento così delicato per il sistema industriale del nostro Paese, è una scelta grave - insistono - che scarica sulle Regioni il coordinamento su controversie in imprese spesso a carattere transnazionale”.
Sara Martano