Solo il 9% degli italiani dice di stare bene nell’impiego attuale. E appena il 5% oggi è “felice” al lavoro. Sono alcuni dei risultati di una indagine sul lavoratore realizzata dal Politecnico di Milano con BVA Doxa. E le cose si complicano se si guarda al futuro del lavoro e alla necessità di allineare i propri profili con le innovazioni tecnologiche. Soprattutto in rapporto all’IA. Il 26% dei lavoratori ha già utilizzato soluzioni di IA generativa nell’ultimo anno, anche se pochi in maniera continuativa (solo il 3% ogni giorno e il 7% un paio di volte a settimana) e l’attività principale è stata la semplice ricerca di informazioni (31%) come una classica barra di ricerca. Ma c’è consapevolezza che l’impatto sarà profondo: ”secondo i lavoratori, il 24% delle proprie attività possono essere già svolte con il supporto di soluzioni di IA generativa. - dicono i ricercatori - E quasi uno su due è preoccupato delle conseguenze, non tanto per il rischio di perdere il lavoro (12%), ma per la possibilità che diventi più precario (26%) o che le proprie competenze siano meno rilevanti (22%)”. Anche se non tutti vedono nero: i più ottimisti vedono nell’IA generativa ”un’alleata per svolgere meglio il lavoro (29%), sviluppare nuove competenze (23%) e lavorare meno (21%)”. Al disagio per il lavoro attuale i lavoratori aggiungono il nodo dell’upskilling e del reskilling. Un problema che si pone sul tavolo dei direttori del personale. ”La principale sfida per le Direzioni HR è rappresentata dal talent shortage. Tra le figure più difficili da reperire ci sono i profili digitali”. Per attrarre più candidati il 51% delle aziende sta aumentando i canali di ricerca, il 45% richiede il supporto di società specializzate per la ricerca di personale e il 40% offre salari più alti. Soprattutto per i profili digitali è in corso una “guerra al rialzo dei salari”, con conseguenze negative per l’intero mercato, perché le Pmi sono tagliate fuori da questa competizione economicamente insostenibile e si crea iniquità interna di politiche retributive. ”Una soluzione è il reskilling e upskilling per formare queste figure all’interno, ad esempio accompagnando le persone a rischio perdita lavoro in un processo di riqualificazione in ruoli maggiormente richiesti: la trasformazione digitale, oltre ad aumentare la richiesta di nuove professioni, sta velocizzando l’obsolescenza di alcuni ruoli”. Ancora una volta la formazione continua fa la differenza e le aziende lo hanno capito. ”Nel 2024, il 33% delle aziende potenzierà i percorsi di upskilling e il 28% introdurrà percorsi di reskilling. - dicono i ricercatori - Stanno emergendo anche innovazioni di processi e modelli: il 43% delle aziende automatizzerà attività e processi ripetitivi e standardizzabili, il 39% rivedrà il modello organizzativo per favorire la condivisione e lo sviluppo delle competenze, il 25% introdurrà o potenzierà l’utilizzo di strumenti digitali avanzati per eseguire compiti per cui internamente non avrebbero le competenze necessarie”.
An. Ben.