Nel “Risveglio della bionda sirena”, Mondadori 2004, Enzo Siciliano-intellettuale e scrittore, critico e animatore tra i più sensibili del mondo letterario-culturale italiano della seconda metà del Novecento, scomparso nel 2006-narra la storia della singolarissima relazione tra Mario Mafai (1902-1965) e Antonietta Raphaël (1895-1975), due degli artisti più significativi della stagione pittorica degli anni venti e trenta conosciuta come il periodo della Scuola Romana, e lo fa su base documentale, a partire dai loro diari e carteggi.
Antoinette, ebrea eccentrica, cosmopolita poliglotta, studia nella Londra spregiudicata di Bloomsbury, ma le sue radici affondano nella cultura fantastica e onirica delle pianure sprofondate tra Polonia e Bielorussia, a sud del Baltico, nella terra di Chagall.
Siciliano la dipinge come una donna europea, moderna, segnata dall’integralismo chassidico, da Marx e Freud, che si imbatte in un ragazzo geniale e talentuoso, ma ancora un po' provinciale, ironico e pigro, perfettamente romano come Mario Mafai. L'incontro tra i due e le rispettive divergenze-verrebbe proprio voglia di dire un'altra forma di amore-sono all'origine di quel conflitto costante generato da due anime in contrasto ma fatalmente attratte l'una dall'altra: quella narrata da Siciliano non è solo una storia di sentimenti, ma anche un romanzo del vero profondamente storico, in cui nulla vi è di aggiunto o di cambiato, a cominciare dagli errori di ortografia e dall’italiano ancora incerto della giovane Antoinette. Come del resto veri sono anche tutti i personaggi che circondano i protagonisti: da Scipione, grande amico di Mario Mafai logorato dalla tisi, a Longhi e Ungaretti. Facendo convivere le storie del tempo e le storie intime di due grandi artisti, Siciliano si fa cantore della Roma di quegli anni e svolge il tema a lui più caro: la passione dell’arte che cresce insieme alle fatiche della giovinezza.
A cinquant’anni dalla scomparsa di Antonietta Raphaël e a sessanta da quella di Mario Mafai, riconsiderare il bel libro di Siciliano aiuta di sicuro a comprendere esaustivamente la stupenda Mostra “Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Un’al tra forma di amore”, a cura di Valerio Rivosecchi e Serena De Dominicis, visitabile sino al 2 novembre p.v. al Casino dei Principi di Villa Torlonia a Roma.
Attraverso un percorso espositivo di oltre 100 opere-tra dipinti, sculture e disegni provenienti da importanti istituzioni italiane e collezioni privatee documenti originali (lettere, disegni, fotografie) custoditi negli archivi di famiglia, nel Centro Studi Mafai Raphaël, al Gabinetto Vieusseux di Firenze e presso l’Ar chivio della Scuola Romana a Villa Torlonia- la mostra propone una nuova riflessione sui due artisti, tra i più importanti del Novecento, raccontandone vicende artistiche e sentimentali, basate su assonanze e divergenze, ma anche sulla trama sottile di scambi, di passioni comuni, in grado di trasformare in poesia ogni evento della realtà vissuta.
Dai tardi anni Venti, caratterizzati dall’intensità espressiva culminata nel sodalizio definito da Roberto Longhi la “Scuola di via Cavour”, Mario e Antonietta seguono percorsi paralleli ma spesso anche divergenti, fortemente condizionati dalla realtà storica.
Mafai viene presto considerato un maestro indiscusso, un punto di riferimento per l’ambiente artistico romano, mantenendo il suo prestigio anche negli anni faticosi del dopoguerra.Serie pittoriche come i Fiori secchi, le Demolizioni, le Fantasie rappresentano fin dalla loro prima apparizione il volto più autentico e antiretorico della cultura italiana.
Ben diversa la sorte della Raphaël-ituana di origini ebraiche, esposta a pregiudizi di genere, costretta ad allontanarsi da Roma negli anni delle leggi razziali e della guerra-vivrà lunghi periodi di ricerca solitaria. La scoperta del suo talento avverrà solo a partire dagli anni Cinquanta con riconoscimenti via via più ampi rispetto al suo ruolo nella definizione di una linea antinovecentesca, della sua originale opera scultorea e dell’ultima accesa e felice stagione pittorica negli anni Sessanta.
Il percorso espositivo, che si compone di sette sezioni, comprende opere pittoriche e scultoree provenienti, oltre che dalle collezioni della Sovrintendenza Capitolina, anche dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dai Musei Civici Fiorentini, dalle collezioni d’arte della Camera dei Deputati e della Banca d’Ita lia, da numerose collezioni private e dalle collezioni degli eredi dei due artisti, con la presenza anche di una rara e selezionata documentazione originale formata da lettere, disegni, fotografie, provenienti dagli archivi di famiglia, dal Centro Studi Mafai Raphaël, dal Gabinetto Vieusseux di Firenze e dall’Archivio della Scuola Romana di Sovrintendenza.
La mostra è organizzata anche grazie alla collaborazione di: Collezione Augusto e Francesca Giovanardi di Milano, Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano, e del Civico Museo “Maria Maddalena Rossi” di Codevilla (PV). Le oltre cento opere presentate-di cui alcune inedite e altre raramente esposte- si snodano sui due piani del Casino dei Principi lungo un percorso scandito in sette sezioni tematiche per offrire una panoramica sull’opera di entrambi gli artisti e un confronto ad evidenziarne le feconde differenze.
La prima sezione, La “Scuola di via Cavour”, inquadra i primi anni, decisivi, dell’incontro di Mario, Antonietta e Scipione (Gino Bonichi), il cambio di passo determinato in gran parte dall’a zione di stimolo culturale e pittorico svolto dalla Raphae¨l,i primi successi. Accanto a quelle di Mafai e Raphae¨lsono esposte anche due opere di Scipione.
La sala delle vedute al piano terra accoglie la seconda sezione, dedicata alle Sculture di Antonietta, compresi alcuni inediti di recente ritrovamento, evidenziando il nodo tematico offerto dal rapporto tra femminile, maternità/ creazione e fuga, con incursioni nel mito. Tra le opere in mostra anche l’Angoscia n.2, 1936-1963-qui esposta per la prima volta-risultato della laboriosa traduzione in pietra porfirica di un gesso del 1936.
Sempre al piano terra, la sezione Intermezzo musicale presenta alcune opere a testimonianza della passione condivisa da Antonietta e Mario per la musica, che ritorna in varie opere, come ad esempio, i dipinti Natura morta con chitarra, 1928 e La lezione di piano, 1934.
A seguire, la sezione Una silenziosa sfida, tutta incentrata sul confronto tra Mafai e Raphae¨le su come i due, pur condividendo alcuni temi-disegni, ritratti e autoritratti, nudi e nature morte -seguissero poi strade volutamente divergenti, risolvendo gli stessi temi con soluzioni formali distanti. Tra i ritratti anche l’ine dito Ritratto di Simona, dipinto da Mafai nel 1932 e qui esposto per la prima volta. All’interno della stessa sezione, un video propone interviste e documentari sui due artisti.
La sala centrale del primo piano, dedicata a Mario Mafai, ha come tema Filo la Metamorfosi, esemplificato nel graduale slittamento dell'artista dal figurativo all’a stratto, attraverso alcuni tra i principali passaggi stilistici della maturità, dalla fase “tonale”, piena di incanto e malinconia, dei primi anni Trenta, alla vena espressionista delle Fantasie, al momento realista dei Mercati del Dopoguerra, fino alle ricerche astratte e informali degli ultimi anni.
Il percorso espositivo prosegue con la sezione Antonietta Raphaël. Un viaggio nell’identità e oltre riservata a sculture e dipinti di Antonietta che veicolano la complessa identità dell’artista alla cui formazione contribuirono molti fattori culturali, in particolare la cultura ebraica, una esistenza “nomade”, i viaggi in Sicilia, Spagna e Cina.
Infine, nell’ultima saletta, a chiudere l’itinerario aperto dal grande Ritratto di Antonietta nello studio di scultura, 1934, di Mafai, un solo quadro di Raphaël, Mario nello studio (Omaggio a Mafai) del 1966, racchiude tutta l’energia di una vita passata a sfidarsi e amarsi. Nello stesso spazio, una selezione di lettere autografe-frutto di una ricerca a cura di Sara Scalia, nipote degli artisti-e materiali fotografici restituiscono la vicenda umana e artistica di Mafai e Raphaël.
Quella tra Mafai e Raphaël fu senza dubbio una “sfida silenziosa” e anche intimamente sofferta, tra la ricerca di uno stile personale, che seguiva strade volutamente divergenti, e il sempre più instabile rapporto di coppia tra due artisti nati liberi. “C’era già un Mafai a dipingere”, ricorderà più tardi Raphaël, sottolineando un rapporto non privo di confronti e rivalità. “E' difficile vivere insieme per due artisti” scriveva la Raphaël nel 1939. In una lettera di tre anni dopo Mafai osservava: “Quando tu mi dici che non puoi amare di più che il tuo lavoro, io ne potrei essere geloso, ma ti capisco e allora si è formata un' altra forma di amore che è piena di armonia venata di sottili nostalgie, e che ha qualche cosa di sublime”.