Lo storico del pensiero politico Luca Gino Castellin ha scritto in un recente saggio, rifacendosi a Flannery O’Connor, che «un brav’uomo è difficile da trovare». Se questo è vero, non va neppure «persa la speranza di incontrarlo», ha però proseguito lo studioso. L’essere umano è caratterizzato da varie contraddizioni, tra le quali spicca ciò che Immanuel Kant chiamava insocievole socievolezza. Se così è, e la storia sembra dimostrarlo, pur agendo per il bene e per la pace, l’uomo si trova costantemente di fronte a occasioni di conflitto che possono sfociare in guerra. La storia delle idee, in realtà, ha prodotto pensatori convinti che l’interdipendenza economica tra le nazioni potesse imbrigliare – non certo eliminare – passioni belluine. Montesquieu, Adam Smith, Benjamin Constant, Charles Dunoyer, Frédéric Bastiat, Richard Cobden, tra gli altri, ritenevano possibile arginare la possibilità di scontro tramite la cooperazione economica. Per l’autore probabilmente meno noto tra quelli citati, Dunoyer, la pace non era solo un ideale regolativo, quanto piuttosto la tendenza naturale di uno stato sociale basato sulla divisione del lavoro e la purificazione della propria moralità: solo attraverso il tirocinio a una vita industriosa e morale, riteneva il francese, è possibile vivere in libertà e pace.