Oggi, 6 luglio 2025, il Dalai Lama compie novant’anni. Un traguardo importante per il popolo tibetano e per milioni di fedeli in tutto il mondo che vedono in Tenzin Gyatso, il 14° Dalai Lama e premio Nobel per la Pace, non solo una guida spirituale ma anche un simbolo di pace, saggezza e resistenza non violenta. In occasione di questo anniversario, è stata diffusa una dichiarazione in cui il leader spirituale ha confermato che, alla sua morte, verrà scelto un successore per garantire la continuità dell’istituzione del Dalai Lama. La sua reincarnazione, ha specificato, avverrà in accordo con la tradizione e fuori dalla Cina, “nel mondo libero”, ponendo fine alle incertezze che negli ultimi anni avevano fatto pensare che egli potesse essere l’ultimo della sua linea. La notizia arriva in un momento storico particolarmente delicato per la cultura tibetana, e in particolare per le nuove generazioni. Da oltre vent’anni, la Repubblica Popolare Cinese ha promosso un processo di riforma educativa nel Tibet, volto a uniformare il sistema scolastico nazionale. Questa trasformazione ha avuto effetti significativi sul modo in cui i bambini tibetani crescono e si formano, in particolare per quanto riguarda la lingua e l’identità culturale. A partire dal 2012, con l’ascesa al potere del presidente Xi Jinping, si è assistito a un’espansione senza precedenti delle scuole materne e dei collegi residenziali nella Regione Autonoma del Tibet. Queste strutture accolgono oggi circa tre quarti degli studenti tibetani in età scolare, molti dei quali vivono lontano dalle famiglie per settimane o mesi. L’obiettivo dichiarato è quello di offrire un’educazione moderna e standardizzata, accessibile anche alle aree più remote. Tuttavia, molti osservatori notano come il modello proposto privilegi l’insegnamento in lingua mandarina, lasciando sempre meno spazio all’uso del tibetano e allo studio della religione e della storia locali. Le scuole materne, che nel 2012 erano circa 500, oggi sono quasi 2.500, e accolgono bambini a partire dai tre anni, con un programma educativo che include anche contenuti patriottici e culturali legati alla tradizione cinese. Alcuni ex studenti di scuole tibetane indipendenti, attive fino al decennio scorso, ricordano con affetto i tempi in cui si studiava anche il buddhismo, la letteratura tibetana e si promuoveva l’uso creativo della lingua madre. Oggi, invece, la presenza di insegnanti di etnia Han, che spesso non parlano tibetano, rende difficile per molti studenti ritrovare nella scuola i valori e i riferimenti della propria cultura di origine. In alcuni casi, ragazzi e ragazze raccontano episodi di solitudine e spaesamento, accentuati dalla lontananza dai genitori e dall’impossibilità di parlare nella propria lingua durante la giornata scolastica. La separazione fisica e linguistica sembra creare una crescente frattura tra generazioni: bambini e adolescenti cresciuti nelle scuole statali spesso mostrano valori, comportamenti e modi di pensare molto diversi da quelli dei loro genitori o dei cugini più grandi, con cui la comunicazione si fa sempre più difficile. Alcuni analisti parlano di una trasformazione culturale profonda, che potrebbe avere effetti a lungo termine sull’identità tibetana. Altri, come l’educatrice Ginger Duan, che ha lavorato in una scuola tibetana prima di emigrare negli Stati Uniti, avvertono che una formazione scolastica forzata in mandarino potrebbe non cancellare la coscienza critica dei giovani, ma anzi produrre una nuova generazione di tibetani capaci di comprendere il linguaggio dominante e usarlo per esprimere nuove forme di resistenza e consapevolezza. Il governo cinese difende l’approccio adottato come parte integrante del processo di sviluppo e integrazione nazionale, volto a ridurre il divario tra regioni e a offrire pari opportunità a tutti i cittadini. Tuttavia, anche le modalità con cui viene gestita la componente religiosa e spirituale sollevano interrogativi. La religione tibetana viene ufficialmente definita parte della tradizione buddhista cinese, ma il controllo sulla sua espressione pubblica resta molto stretto. Alcuni studiosi osservano come il modello educativo adottato in Tibet presenti elementi simili a quelli riscontrati in altre regioni a forte presenza di minoranze etniche, come lo Xinjiang, sebbene con approcci diversi. In Tibet, l’enfasi sembra essere posta più sull’educazione e sull’assimilazione graduale, piuttosto che sull’imposizione diretta. In questo scenario, la figura del Dalai Lama, anche se fisicamente lontana, continua a rappresentare un punto di riferimento essenziale per molti. La sua dichiarazione sulla continuità dell’istituzione non è solo una scelta religiosa, ma anche un gesto di profondo valore culturale: riaffermare, pacificamente, che l’identità tibetana non si lascia cancellare facilmente, e che la fede e la memoria possono sopravvivere anche attraverso le generazioni, nonostante i cambiamenti. Il futuro del Tibet, della sua lingua e della sua cultura, si gioca oggi anche nella scuola: tra lavagne, libri di testo, ma soprattutto tra ciò che ogni giovane tibetano sarà incoraggiato a ricordare, sentire e custodire. Il novantesimo compleanno del Dalai Lama diventa così non solo un'occasione di festa, ma anche un richiamo alla responsabilità e alla speranza.
Roberto Rosano