"Non è una questione banale". Con queste parole Christine Lagarde, presidente della Bce, ha acceso i riflettori sul dibattito relativo all’oro della Banca d’Italia, innescato dall'emendamento alla manovra presentato da FdI sulle riserve auree di Bankitalia.Interpellata dall’eurodeputato Tridico, Lagarde ha chiarito che, secondo i trattati europei, la detenzione e la gestione delle riserve spettano esclusivamente alla banca centrale nazionale di ciascuno Stato membro.
"La Banca d’Italia non è diversa da qualsiasi altra banca centrale", ha sottolineato la presidente della Bce, ribadendo come la gestione operativa, contabile e distributiva dell’oro resti di sua piena competenza, senza alcuna variazione rispetto al parere già espresso nel 2019.
Lagarde ha così messo in guardia contro qualsiasi tentativo di mettere in discussione l’indipendenza della banca centrale e la fiducia internazionale nelle riserve italiane. La presa di posizione della Bce nasce dalla necessità di chiarire un punto essenziale dell’architettura istituzionale europea, perché la questione delle riserve auree non è un dettaglio tecnico. L’Italia è il terzo detentore di oro al mondo tra le banche centrali e questo patrimonio rappresenta una componente cruciale delle riserve nazionali ed europee. Proprio per questo, il tema non può essere trattato come una semplice modifica normativa: tocca i principi fondamentali che regolano l’indipendenza delle banche centrali nell’Eurozona. Cosa dicono i trattati europei sulla gestione delle riserve auree?
Lagarde ha richiamato il contenuto dei trattati europei, secondo i quali la detenzione e la gestione delle riserve spettano alle banche centrali nazionali. Non vengono citati la proprietà formale o il titolo giuridico - i trattati non li definiscono - ma è chiarissimo chi deve esercitare il controllo operativo e contabile sulle riserve. L’autonomia delle banche centrali è la garanzia che le riserve, soprattutto quelle in oro, restino al riparo da pressioni politiche o da tentativi di utilizzarle per finalità di bilancio. Un trasferimento di proprietà o una riformulazione ambigua della norma potrebbe aprire la strada a un uso politico dell’oro, creando un precedente pericoloso in tutta l’Eurozona. La Bce ha reagito perché la proposta italiana non chiarisce la sua finalità e rischia di mettere in discussione quell'equilibrio che negli anni ha assicurato la credibilità dell’euro e la stabilità finanziaria dei singoli Stati membri. Le riserve auree rappresentano una sorta di ancora della fiducia internazionale: sono un asset che gli investitori osservano attentamente per valutare la solidità di un Paese.
Un cambiamento improvviso delle regole sulla loro gestione potrebbe minare la percezione di stabilità dell’Italia e, per estensione, dell’intero sistema europeo.
Il contesto è reso ancora più delicato dalla posizione dell’Italia, che custodisce oltre 2.450 tonnellate d’oro e che quindi, più di altri Paesi, ha tutto l’interesse a preservare un regime chiaro, stabile e indipendente sulla gestione delle riserve.
La Bce teme che un intervento politico su questo tema possa indebolire la banca centrale, creare incertezza normativa e insinuare il dubbio che l’oro possa essere usato come "tesoretto nazionale" per finalità contingenti, come ridurre il debito o coprire spesa pubblica. Questo, in un mercato sensibile come quello italiano, rischierebbe di riflettersi subito sulla fiducia degli investitori e sul costo del debito. Infine, la Bce vuole evitare che si crei un precedente: se un Paese modifica unilateralmente il quadro relativo alle proprie riserve, altri potrebbero sentirsi legittimati a fare lo stesso, con impatti potenzialmente pericolosi per la stabilità dell’Eurozona.
Rodolfo Ricci
