Inoltre, l’Italia è ancora il secondo Paese Ue per incidenza di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in formazione, nonostante il fenomeno si sia ridotto drasticamente negli ultimi 10 anni. Tuttavia, due terzi dei Neet vorrebbe lavorare, solo un terzo è effettivamente inattivo. Il fenomeno ha un costo economico e sociale notevole, stimato in 24,5 miliardi di euro all'anno (pari a una manovra finanziaria). Lo studio evidenzia che l'Italia investe meno in istruzione rispetto alla media Ue (4% del Pil contro il 4,8%) e sconta un gap significativo in termini di accesso e performance nell'istruzione, con tassi di laurea inferiori (grava il basso livello di internazionalizzazione degli atenei) e poca attenzione alla formazione degli adulti.
La ricerca individua 8 punti di pressione sistemici per ridisegnare e rilanciare il sistema educativo italiano tra cui un obbligo scolastico obbligatorio da zero a diciotto anni, un ciclo unico per le scuole secondarie, un rinnovamento (e una migliore remunerazione) della figura del docente, l'ampio ricorso a modelli didattici innovativi e strumenti di valutazione terza sia di scuole che docenti. Secondo lo studio, l'attuazione delle proposte potrebbe portare a una significativa riduzione dei Neet, un recupero di 5,1 miliardi di euro spesi annualmente per la ”fuga di cervelli” e un impatto economico incrementale sul Pil del Paese di 485 miliardi di euro tra il 2030 e il 2060, oltre naturalmente a un aumento dell'attrattività e della competitività del Paese.
La povertà educativa rappresenta insomma una delle sfide più urgenti per l'Italia, con impatti diretti sulla coesione sociale, sulle prospettive di crescita e sulla competitività futura del sistema-Paese. Secondo lo studio, l'ascensore sociale del Paese è bloccato: il background socio-economico e culturale delle famiglie condiziona fortemente i percorsi formativi e lavorativi dei giovani. In questo scenario, il divario Nord-Sud è tra i più marcati in Europa, con quattro regioni del Mezzogiorno tra le peggiori cinque dell'intera Ue per rischio di esclusione sociale. La povertà educativa impedisce la creazione di circa 3,2 milioni di posti di lavoro e amplifica lo skill mismatch: in Italia mancano 2,2 milioni di lavoratori con titolo di studio secondario superiore o terziario. Teha ha stimato che per azzerare questo gap di lavoratori con istruzione secondaria superiore o terziaria basterebbe formare il 20% dei lavoratori meno istruiti.
Le competenze digitali risultano insufficienti con solo il 56% dei giovani italiani under-19 ha competenze digitali di base (contro il 73% della media Ue), a fronte di un mercato del lavoro che già oggi richiede nel 41,5% dei casi competenze digitali avanzate. Se l'Italia si allineasse alle migliori pratiche europee in termini di inclusione nella formazione, sarebbe possibile creare fino a 48 miliardi di euro di pil aggiuntivo e ridurre di circa 2 milioni il numero di persone in condizione di povertà ed esclusione sociale. "Contrastare la povertà educativa - ha dichiarato Maria Chiara Carrozza - significa non solo garantire un diritto fondamentale, ma anche investire sul capitale umano e sul futuro del Paese. L'innovazione tecnologica e l'AI-learning rappresentano un'opportunità per colmare i divari, ma serve una strategia nazionale coordinata, sostenuta da riforme, governance integrata e strumenti di monitoraggio chiari”.
Giampiero Guadagni