Mercoledì 5 novembre 2025, ore 11:18

Israele

Trenta anni fa l'uccisione di Yitzhak Rabin

Yitzhak Rabin fu ucciso il 4 novembre 1995 dopo una manifestazione a favore degli Accordi di Oslo per i quali aveva ottenuto il Premio Nobel per la Pace insieme a Shimon Perez e Yasser Arafat. L’autore del crimine, il giovane Yigal Amir, proveniva da gruppi sionisti di estrema destra, la stessa provenienza dell’attuale ministro della Sicurezza Nazionale, Itam Ben Gvir che allora giovanissimo aveva minacciato di morte Rabin. Con la morte di Rabin praticamente inizia la progressiva decadenza (eccetto la parentesi di Peres e Barak negli ultimi anni ’90) della lunga egemonia politica dei laburisti iniziata nel 1948 con la costituzione dello Stato di Israele e proseguita fino al 1977. La storia di questa caduta è ancora tutta da analizzare. Gli anni duemila, a partire da Menachem Begin, Yitzhak Shamir e Ariel Sharon, sono dominati dalla destra e dal potere autoritario di Netanyahu che ritorna a governare nel 2009 spostandosi sempre più a destra e alleandosi con gli esponenti estremisti ai quali concede ben due ministeri importanti. Grandi personaggi della storia laburista israeliana come Golda Meir, Rabin, Peres, Barak, appartengono ormai a un’altra epoca. Alle origini s’impose la figura di David Ben-Gurion, la cui lunga battaglia aveva portato alla proclamazione dello Stato d’Israele il 14 maggio 1948 e alla fine del mandato britannico. I padri costituenti del nuovo Stato erano animati dal desiderio di dare una patria, fisicamente abitabile, agli ebrei sparsi nel mondo con un’impostazione laica e comunitaria basata sulla formazione dei kibbutzim, oggi ridotti a una piccola entità. Avevamo bisogno, dirà Albert Einstein, di creare un “centro spirituale”, una “società culturale”. Una tradizione, quella ebraica, che aveva prodotto uomini come Spinoza e Karl Marx; il nostro lavoro di costruzione, affermava Einstein, deve essere svolto in modo tale da servire anche gli interessi dei nostri fratelli arabi. Poi sappiamo che gli eventi storici andarono in senso completamente opposto, con continue incomprensioni e guerre tra le due parti. Le ostilità cominciarono subito, con la prima guerra arabo-israeliana (definita guerra d’indipendenza) quando iniziò il primo esodo forzato dei palestinesi (Nakba). Gli Stati arabi (Siria, Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Arabia Saudita) si opposero, fin dalle origini, alla nascita di Israele; seguì la “Guerra dei sei giorni” (giugno 1967) e la relativa conquista della Cisgiordania, Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza, il Sinai, le alture del Golan, i cui tragici effetti sono tuttora davanti ai nostri occhi. Da quel momento, con alterne vicende, iniziò l’era dei territori occupati, gestiti con sempre maggior autoritarismo da parte del governo centrale e di violenza quotidiana dei coloni insediatisi nel corso degli anni contraddicendo le risoluzioni dell’Onu. Seguì la “Guerra dello Yom Kippur” (importante festività ebraica, ottobre 1973), iniziata a sorpresa da Egitto e Siria, che provocarono le dimissioni di Golda Meir e del ministro della difesa Moshe Dayan. D’altra parte, vennero firmati diversi “Accodi di pace”: nel 1978 quelli di Camp David tra Egitto e Israele, mediati dal Presidente USA Jimmy Carter, e appunto nel 1993 gli Accordi di Oslo, siglati con la mediazione del Presidente americano Bill Clinton, immortalati dalla stretta di mano con Arafat e Rabin. Accordi che prevedevano un riconoscimento reciproco: i palestinesi riconoscevano l’esistenza di Israele e gli israeliani consideravano l’OLP interlocutore per i negoziati e permettevano la costituzione dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), per il governo delle zone assegnate. Soltanto il 17% del territorio dove abitava il 55% dei palestinesi ottenne l’autonomia amministrativa, mentre la maggioranza del territorio, pari al 59%, rimaneva israeliano. Infine nel 2020 abbiamo gli “Accordi di Abramo”, che comprendono diversi accordi di cooperazione dello Stato di Israele con il Regno del Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), sempre con la mediazione degli Stati Uniti. Ma col criminale attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, inizia una fase ancora più cruenta, con un numero di morti che superano la somma di tutti quelli degli anni precedenti. Sul piano interno le maggiori novità riguardano le mobilitazioni popolari promosse dai gruppi progressisti contro la proposta di riforma della giustizia di Netanyahu, che consiste nel ridimensionamento del ruolo della Magistratura (limitazione dell’autonomia della Corte Suprema) attuata per sfuggire alle accuse di corruzione. Infine, per cercare di recuperare il terreno perduto e riavere un ruolo politico nazionale, nel luglio dell’anno scorso i due principali gruppi di sinistra eredi del laburismo (Partito Laburista e Meretz) si sono riunificati nel partito “I democratici”.

Salvatore Vento

( 4 novembre 2025 )

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