La città di Bologna si conferma capitale indiscussa della fotografia d’arte con l’inaugurazione della VII Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, unica biennale al mondo dedicata a questa settore, di nicchia, allestita all’interno di sette luoghi storici della città dal 7 novembre al 14 dicembre 2025. Un progetto costituito da ben 10 mostre diffuse (più una allestita presso il Mast), con oltre 500 opere esposte, capace di attirare nella città emiliana migliaia di appassionati dell’immagine visiva, che possono ammirare all’interno di ricchi palazzi storici cittadini, raramente aperti al pubblico, il mondo del lavoro e dell’industria ripreso da prospettive diverse, sia da fotografi famosi come emergenti.
Una manifestazione ricca di eventi anche collaterali (visite guidate, talk, proiezioni, laboratori e incontri) che ruota intorno alla forza delle immagini con l’obiettivo di testimoniare anche il patrimonio industriale del territorio bolognese. Tema centrale di questa settima edizione della biennale è “Home”, la “casa”, intesa nella sua pluralità di significati e aspetti. Ad aprire l’evento l’inaugurazione della monografica dell’artista canadese Jeff Wall, che si protrarrà fino all’8 marzo 2026, allestita presso le gallerie del MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), fondazione che dal 2013 si fa promotrice e organizzatrice della biennale, in linea con la sua mission, indirizzata a favorire lo sviluppo della creatività e dell’imprenditorialità, promuovendo l’innovazione sociale, culturale e tecnologica.
Come ha dichiarato Francesco Zanot, direttore artistico dell’evento durante la conferenza stampa di presentazione, “il tema della “casa” costituisce per la Biennale un completamento di una sorta di trilogia, iniziata nel 2021 con il tema del “Cibo” e continuata nel 2023 con il tema del “Gioco”; tre temi di carattere universale, che riguardano tutti e che, costituendo anche tre grandi comparti industriali ed economici, si possono guardare da tre grandi prospettive diverse tra di loro”. Il percorso del progetto anche questa volta è stato costruito per esplorare la complessità del tema sconfinando costantemente nell’universo di discipline diverse. Queste mostre oltre che parlare di architettura, del costruire, poichè la casa innanzitutto è uno spazio fisico, parlano di molto altro, in quanto la casa è prolungamento del nostro corpo, insieme di sensazioni, di affetti, di sentimenti, simbolo di protezione, appartenenza, identità oltre che di sfida industriale. Le discipline coinvolte sono dunque moltissime e vanno dall’urbanistica, alla psicologia, dall’economia fino alla politica e all’ecologia, visti i cambiamenti climatici che hanno imposto nuove sfide progettuali. Tutte queste declinazioni del tema della casa vengono identificate attraverso 11 mostre (10 in sedi diffuse nel centro storico di Bologna più la monografica allestita presso il Mast) che coinvolgono grandi artisti più o meno famosi, del passato e del presente.
Il percorso della mostra non è solo l’incontro con le immagini ma è anche un’occasione di riflessione sul tema della casa, che in questi anni si sta notevolmente rinnovando. A ispirare il programma di quest’anno due interessanti sperimentazioni artistiche: da un lato la celebre collettiva “Chambre d’Amis”, organizzata nel 1986 a Gand in Belgio, diffusa all’interno degli spazi privati delle case delle città, dove erano presenti opere d’arte che gli spettatori potevano vedere entrando nelle abitazioni e un secondo evento avvenuto nel 1974 a New York che aveva avuto come protagonista Joseph Beuys, il quale aveva abitato per 3 giorni insieme ad un coyote, simbolo dell’America, nella Galleria d’Arte di Renè Block trasformandola in un’abitazione privata. Due approcci diversi e opposti per affrontare il tema della casa, vista sia come ambiente domestico che come spazio espositivo, che l’evento di quest’anno propone.
Il percorso delle mostre, tutte ad ingresso gratuito, può essere affrontato dal visitatore seguendo itinerari differenti a seconda dei propri interessi. Seguendo un filo cronologico si può iniziare dalla visita della mostra a Palazzo Paltroni, presso la Fondazione del Monte di Bologna, in cui sono esposte le opere più vecchie presenti alla Biennale scattate tra il 1930 e il 1950 da Sisto Sisti. Curata da Stefano Riba e Alessandro Campaner, l’esposizione presenta una serie di scatti in cui il fotografo, di origine emiliana ma vissuto in Alto Adige, nel suo ruolo di operaio, racconta dall’interno il mondo della fabbrica in cui lavorava, la Montecatini di Sinigo (azienda chimica specializzata in fertilizzanti), da cui il titolo “Microcosmo Sinigo”, soffermandosi non solo sui processi industriali, ma anche sulla vita degli operai fuori dall’orario lavorativo, nelle loro case, in famiglia o nel borgo operaio concepito quasi come una dimora collettiva: un vero e proprio microcosmo pullulante di vita.
Presso la Pinacoteca di Bologna si può passare a visitare la mostra “Same Homes”di Ursula Schulz-Dornburg, una delle grandi protagoniste della fotografia europea degli ultimi cinquant’anni. Questa ricchissima e complessa mostra racconta gran parte della sua carriera attraverso sei serie dedicate ad altrettante tipologie di case, un soggetto a lei molto caro che l’ha seguita in modo trasversale per tutto il suo lavoro. Tipologie abitative rappresentate attraverso un approccio documentaristico e le tensioni progettuali che provengono dalla sua storia e che caratterizzano il suo lavoro. Le case fragili sono il soggetto prediletto dell’artista con lo scopo di mantenere vivo qualcosa che altrimenti andrebbe a sparire: da case costruite sull’acqua sopra piantagioni di riso, caverne scavate nella roccia come eremi dove vivere e pregare, rifugi improvvisati da adolescenti, spaziando dalle campagne dell’Indonesia all’ Iraq, dall’Olanda all’Azerbaigian, dal Bosforo alla Russia. Una terza mostra suddivisa in 4 sezioni tematiche è organizzata da Alejandro Cartagena con il titolo “A small Guide to Homeownership” e si trova presso palazzo Vizzani. Un allestimento nato da uno studio-ricerca durato 13 anni sul fenomeno della suburbanizzazione avvenuto negli ultimi 20 anni presso Monterrey in Messico, sfociato poi in un libro da cui prende il via la mostra stessa.
Un processo nato dall’espansione incontrollata della città in sobborghi periferici in cui nascono dei quartieri poco popolati e poco serviti da collegamenti e infrastrutture, una sorta di paradosso tra le aspettative di chi spera acquistando una casa di migliorare il proprio stile di vita, e le reali conseguenze fallimentari di ciò che avviene. Di Moira Ricci è la mostra “Quarta casa” allestita presso il MaMbo (Museo d’Arte Moderna di Bologna). La retrospettiva, prima dedicata a Moira Ricci, una delle più importante artiste italiane della sua generazione, è un’esposizione che raccoglie un’ampia selezioni di lavori realizzati dall’artista negli ultimi 25 anni provenienti da diversi istituti pubblici e privati italiani. Il tema della casa viene ripreso trasversalmente all’interno della sua produzione lungo tutta la sua carriera ed è investigato con due accezioni: la propria famiglia (lei si inserisce con la sua immagini in fotografie del passato per riallacciare i fili della sua storia) e la propria terra d’origine (nello specifico la maremma toscana), attraverso lo studio di leggende e tradizioni della sua terra, in cui tutti i visitatori si possono ritrovare. Al centro dell’allestimento la grande installazione “Dove il cielo è vicino”, costituito da grandi fogli di carta che scendono dal soffitto.
Presso lo Spazio Carbonesi la mostra “No Rest for the Wicked” di Kelly o’Brien affronta il tema del lavoro domestico. Attraverso la sua storia famigliare, ripercorrendo il lavoro della nonna e della mamma, due donne di origine irlandese emigrate in Inghilterra impegnate nel lavoro di domestiche, attività documentata silenziosamente da lei per vent’anni, l’artista vuole mostrare con immagini e oggetti come la casa può essere nello stesso tempo uno spazio sicuro in cui vivere, ma anche il prolungamento del lavoro quotidiano e luogo di disparità di genere.
Presso la Fondazione Collegio Venturoli si trovano poi tre mostre: una di Mikael Olsson “Sodrakull Frosakull”, progetto dedicato a due case progettate dal grande architetto Bruno Mathsson negli anni 50 e 60, in cui il fotografo si è recato per 6 anni, tra il 2000 e il 2006, usando la fotografia come strumento di esplorazione. Gli edifici non sono così solo abitazioni ma luoghi di esperimenti radicali sul rapporto tra individuo e ambiente, tra spazio domestico e paesaggio naturale, nella loro sospensione e nel loro silenzio metafisico, documentati in modo conturbante nelle loro stratificazioni e nelle loro trasformazioni nel tempo.
Una seconda mostra dal titolo “My Dreamhouse is not a House” di Julia Gaisbarcher, documenta invece uno dei primi esperimenti di edilizia sociale svolto a Graz in Austria, in cui le case venivano progettate e studiate insieme a coloro che avrebbero dovuto andare ad abitarle. Anche in questa mostra non solo sono presenti immagini, ma anche oggetti e videoproiezioni. La terza mostra a Collegio Venturoli appartiene al più giovane protagonista della biennale Vuyo Mabheka con la mostra “Popihuise”.
Un progetto in cui la casa viene intesa come costruzione affettiva e simbolica. Lo stesso titolo rimanda ad un gioco diffuso nelle township sudafricane, una versione economica della casa delle bambole, in cui i bambini riproducono ambienti domestici con materiali di fortuna, dando vita a microcosmi alternativi. L’artista ripercorre la sua storia di emigrazione e traslochi inserendo le poche fotografie di famiglia sopravvissute in scenografie disegnate a matita con tratti infantili naif e collage di carta colorata, nel tentativo di ricostruire qualcosa andato perduto rappresentativo della precarietà del vivere.
Di Mati Bejenaru è una delle due mostre allestite presso Palazzo Bentivoglio, dal titolo “Prut”. Progetto iniziato dall’artista nel 2011 e tutt’ora in corso dedicato all’omonimo fiume che separa la Romania dalla Moldavia e che dal 2007 costituisce uno dei confini naturali dell’Europa politica. Attraverso una piccola selezione fatta tra oltre 1500 fotografie, il progetto testimonia la vita che si svolge nei piccoli villaggi lungo il fiume, un mondo rurale molto legato al passato e molto lontano dalla vita frenetica urbana, dai social e da mondo digitalizzato, da cui comunque è minacciato.
La seconda mostra presso Palazzo Bentivoglio nel “Sottospazio” è quella che più di tutti rappresenta l’attualità. Dal titolo “Looking for Palestine” di Forensic Architecture, un fondo di ricerca nato all’interno della Goldsmiths, University of London, che indaga sulla violazione dei diritti umani mettendo a confronto il passato e il presente.
Tema centrale della mostra è la perdita della casa come elemento centrale del processo storico che collega il genocidio a Gaza alla Nakba (catastrofe in arabo) e l’espulsione di massa dei palestinesi dai loro villaggi ad opera delle forze sioniste avvenuta tra il 1947 e il 1949.
Una biennale dunque che tra passato, presente e futuro invita il visitatore non solo a prendere atto della funzione della casa nelle diverse sue sfumature, ma anche a riflettere sul suo valore a livello umano, sociale, economico e politico, nelle molteplici esperienze individuali e collettive, reali ed immaginarie.

