Un mondo surreale e magico, concreto e virtuale, intimo e visibile, tra appartenenza e alienazione, tra voyeurismo e esibizionismo è quello che si apre a chi entra in contatto con le opere di Louisa Gagliardi, oggi esposte presso il Masi di Lugano all’interno della mostra “Many Moons”, inaugurata il 16 febbraio e aperta al pubblico fino al 20 luglio. Una mostra capace di stupire ed emozionare, destabilizzando il visitatore che si trova di fronte opere monumentali, che a prima vista sembrano appartenere alla pittura tradizionale, ma che in realtà sono frutto di un lungo procedimento di lavoro, che nasce al PC e che l’artista svolge usando un mouse al posto del pennello, ricorrendo ad una varietà di registri estetici, che vanno dalla cultura popolare alla storia dell’arte. Louisa Gaglairdi, considerata una delle voci più interessanti della scena artistica contemporanea, nasce a Sion nel Vallese nel 1989, e, dopo aver svolto gli studi di grafic design presso l’Ecal di Losanna, si trasferisce a Zurigo e si dedica all’arte digitale. Si può definire a tutti gli effetti una pittrice, perché i suoi quadri, pur prodotti su uno schermo, mantengono una forte componente analogica, che nasce proprio dall’uso che lei fa del mouse per creare i suoi lavori, che mantengono l’aspetto pittorico. Le immagini elaborate digitalmente vengono stampate su PVC (materiale usato anche per fare i manifesti da esporre all’aperto), e una volta poi che il PVC è tirato su un telaio lei apporta a mano dei ritocchi a volte con glitter, smalto per le unghie o pittura a gel, dando vita ad un’opera unica nel suo genere, capace di unire tecniche nuove a stili appartenenti alla pittura tradizionale. Attinge ad esempio alla pittura rinascimentale per l’uso della prospettiva, così come i suoi soggetti sono spesso ambigui, enigmatici e misteriosi, evocando poetiche pittoriche del secolo scorso come la Metafisica, il Surrealismo o il Realismo Magico, che spingono lo sguardo dell’os servatore ad andare oltre l’o pera e a riflettere sulla complessità della vita moderna, esplorando temi come il tempo, l’identità, il rapporto tra individuo ed ambiente, dove il reale si intreccia al virtuale.
La mostra presentata al Masi e curata da Francesca Benini, è la prima grande mostra istituzionale allestita in Svizzera, dedicata a Louisa Gagliardi, che tuttavia ha esposto in numerose mostre personali tra cui Cultuurcentrum Strombeek, Grimbergen; Taxa, Seoul; Galerie Eva Presenhuber, Zurigo; Galeria Dawid Radziszewski, Varsavia; rodolphe janssen, Bruxelles; Antenna Space, Shanghai. Ha partecipato a mostre collettive presso: Swiss Institute, New York; Museo Villa dei Cedri, Bellinzona; Centre d’Art Contemporain Genève, Ginevra; McNamara Art Projects, Hong Kong; Aargauer Kunsthaus, Aarau; Centre d’art de Neuchâtel CAN, Neuchâtel; Kunst Halle Sankt Gallen, St. Gallen; MOSTYN, Llandudno; Open Forum, Berlino; Plymouth Rock, Zurigo; Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk; Pilar Corrias, Londra; The Cabin, Los Angeles; Tomorrow Gallery, New York; Istituto Svizzero, Roma; König Galerie, Berlino.
Lo spazio dell’ipogeo del Masi contribuisce sicuramente a rendere più immersivo e coinvolgente il lavoro dell’artista svizzera, la cui percezione avviene su più piani, attraverso un’esperienza stratificata, la cui prima impressione nasce da un impatto di insieme delle sue opere, tutte recenti (la più vecchia è del 2019), a cui l’artista ha aggiunto due camere esperienziale intime e performanti, create appositamente per lo spazio del Masi, dove le sensazioni passano ad un livello più intimo suscitando l’impres sione di entrare nell’opera, cogliendone tutti i dettagli che conferiscono profondità alla stessa, come secondo momento di un’ esperienza stratificata.
Un’ esperienza che rispecchia anche il modo di lavorare dell’artista, i programmi che usa, si sviluppano infatti a più livelli, a cui lei aggiunge una stratificazione di significati, di referenze, ma anche di spazi. La Gagliardi nelle sue opere non lascia nulla al caso, e mentre l’occhio si muove da un punto all’altro dell’imma gine, poco alla volta emergono minuziosi particolari, che a prima vista non si notano, mostrando come le sue opere si sviluppino su più piani di profondità visiva e simbolica. Il percorso della mostra si apre con una visione di insieme su un ampio open space dove sono collocati ai muri una serie di opere distopiche (Night Caps, Swamped, Jackpot), in cui paesaggi esteriori si mescolano a paesaggi interiori. Qui la natura sembra espandersi e invadere gli spazi umani, prevalendo su di essi.
Accanto a queste opere sulla parete di destra prevale invece il paesaggio urbano con immagini retrofuturiste in cui la natura irrompe attraverso dettagli causali nel mondo cittadino. La natura lascia poi spazio ad una dimensione più privata e domestica con opere come Cascade, Chaperons e Roundabout, in cui elementi famigliari si uniscono ad elementi estranei provocando nel visitatore un forte smarrimento. La dimensione quotidiana e privata si fa sentire ancora di più nei due ambienti immersivi ritagliati all’interno dell’ipogeo: nella prima stanza dal titolo “Curtain Calls” ci si trova di fronte ad un ciclo monumentale che richiama gli affreschi medioevali in cui interi ambienti venivano trasformati in esperienze visive, proiettando lo spazio reale in un’illusione ottica. In questa sala è molto chiaro il riferimento a David Linch, attraverso i dipinti di tende rosse, così come le tende sono una caratteristica di Magrit e del Surrealismo. Il centro della sala è caratterizzato dalla presenza di due poltrone, ad uso del visitatore, personalizzate con dei trompe-l’oeil, e riprese dal modello LC2 ideato nel 1928 da Le Corbusier, conferendo all’oggetto un significato nuovo in rapporto agli affreschi della sala. L’artista usa un registro che si riferisce non solo a tante epoche, religiosa, sacra, religiosa, rinascimentale, greca, ma anche a altre discipline e alla sua esperienza quotidiana riuscendo a relazionarsi con il pubblico a livello emozionale, come facevano anche nel secolo scorso gli esponenti del surrealismo o della metafisica. L’uso del digitale la pone in questo senso un tramite tra il digitale e l’analo gico nella storia della pittura.
La presenza dello schermo si percepisce in modo costante in tutti i suoi allestimenti, a partire dall’uso di luci fredde fino al formato con cui le opere sono state realizzate e lo si coglie persino nel titolo “Many moons” (tante lune) che si riferisce al chiaro di luna sia nella pittura (esistono tantissimi modelli nella pittura dell’Ottocento) ma anche al blu light, la luce degli schermi, come emerge ad esempio in una seconda stanza immersiva dal titolo “Streaming”, dominata dai toni avvolgenti del blu e verde. Qui cambia di nuovo il soggetto rappresentato e le emozioni che si provano sono quelle delle intrusioni in un momento intimo del sonno in cui il soggetto perde completamente il controllo della realtà. Due figure monumentali colte nel sonno, coperte da drappi e collocate su uno scorcio prospettico che richiama modelli passati, dominano le pareti. Giocando sulla solennità dell’arte sacra la Gagliardi espone il visitatore ad un forte contrasto proveniente dalle dimensioni gigantesche dei personaggi e dallo stato di abbandono del sonno in cui sono rappresentati, portando lo spettatore ad avere l’im pressione di violare uno spazio privato e intimo. Un riferimento evidente al nostro modo di vivere la realtà virtuale oggi, come una continua esposizione pubblica del nostro privato. Due grandi orologi da polso, come quelli che la sera si appoggiano sul comodino, appartenenti al privato dell’artista, sono situati a modi sculture nel centro della stanza, come un gioco di trompe l’oeil, in cui bidimensionale e tridimensionale si alternano, con continui rimandi di significati sia affettivi che identitari, invitando a riflettere su come in una società digitalizzata tuttavia alcuni oggetti rimangono importanti nella loro fisicità. Anche i graffiti sulle pareti sono un chiaro richiamo a tecniche antiche presenti nella storia dell’arte dell’uomo che assumono l’aspetto, attraverso delle nature morte, di uno scorrere di pensieri. L’o pera infatti si intitola “strea ming”, rimandando non solo allo streaming on line ma anche al flusso di pensieri presente poco prima di dormire. Un mondo onirico richiamato anche dallo spazio che si va sfaldando ai margini dei personaggi. Personaggi che, pur ripresi nelle sembianze dal vissuto dell’artista, in realtà riescono a rappresentare tutti noi, uomini proiettati in una dimensione reale e virtuale, tra sogno e realtà, alla ricerca di un equilibrio in un mondo che si trasforma con una velocità vertiginosa.