Otto storie personali di artisti “fuori dal comune”, veri e propri “outsider” della pittura, si intrecciano in una narrazione composta da otto racconti autonomi e diversi, all’interno della mostra “Antonio Ligabue e l’arte degli outsider”, inaugurata a Lecco presso il Palazzo delle Paure il 13 giugno e aperta fino al 2 di novembre 2025. Secondo appuntamento del ciclo “Grandi mostre 2025-27”, promosso dal Comune lacustre in collaborazione con ViDi Cultural e Ponte43, con la curatela di Simona Bartolena l’esposizione si rivela un vero e proprio viaggio emotivo, attraverso quattordici opere di Ligabue, tra cui due inedite, e una quarantina di quadri di altri pittori del Novecento italiano, per riflettere sul rapporto tra arte e follia in una realtà italiana, precedente la legge Basaglia, in cui troppo spesso un individuo “origi nale” o “diverso” veniva catalogato come “pazzo” e rinchiuso in manicomio, dove anche chi pazzo non era, spesso lo diveniva.
Tante storie di dolore e sofferenza interiore e psicologica, in cui l’unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi per sopravvivere rimaneva l’arte, nella quale proiettare sogni, desideri, ansie e paure. Otto esperienze diverse di uomini che hanno scoperto la loro vena artistica proprio durante l’in ternamento negli ospedali psichiatrici o di chi proprio passando attraverso tale esperienza ha maturato nuovi stili e tecniche pittoriche.
Una mostra dai tanti intrecci, che tuttavia non si risolve esclusivamente con la questione manicomiale, poiché accanto ad artisti assolutamente outsider (quasi Brut nel senso buffettiano), le cui opere sono nate da un’urgenza espressiva interiore, non incanalate da uno studio tradizionale, ci sono anche artisti che hanno seguito un percorso accademico classico, protagonisti anche della scena ufficiale dell’arte e che poi, per vicissitudini biografiche diverse sono piombati in un’area psichicamente molto fragile; tutti tuttavia accomunati dall’es sere irregolari, cioè tutti artisti che, o per una fatalità, o per bisogno interiore, ad un certo punto della loro esistenza hanno dato vita ad opere di struggente intensità interiore. A creare una forte tensione emotiva come anticamera al percorso della mostra, è stata allestita una sala di carattere immersivo, con un’installazione realizzata nel 2004 da Giovanni Sesia, un artista che dal 1990 sta lavorando sugli archivi storici dei manicomi italiani, da San Lazzaro. dove è stato ricoverato Ligabue a Mombello, dove sono stati internati diverti artisti presenti in mostra. Egli rimaneggiando artisticamente le foto degli archivi cerca di restituire, alla freddezza e alla spersonalizzazione dei volti dei ricoverati, una nuova dignità, una individualità nuova rispetto a quella che entrando in manicomio gli veniva rubata. In questo primo spazio lo spettatore è invitato dal punto di vista emozionale a entrare nel mondo degli ospedali psichiatrici grazie alla presenza di un letto proveniente dal ospedale di Mombello, al sottofondo sonoro di un video che riproduce la voce di Ligabue mentre intona il canto degli uccelli e un grande collage di volti ripresi dall’archivio di San Lazzaro di Reggio Emilia. Dopo questo forte bagno emotivo si apre la mostra in senso proprio con due importanti opere (Ritorno dai campi con castello e Autoritratto con libellula), di Antonio Ligabue, outsider per eccellenza e perno centrale dell’espo sizione, a cui è dedicato anche lo spazio conclusivo del percorso. Si avvicendano, a seguire, in 7 spazi diversi, 7 racconti di vita diverse, ognuno dedicato ad un pittore “fuori dagli schemi”, a partire da Mario Puccini, artista del tardo Ottocento, post macchiaiolo, definito dal critico Emilio Cecchi un Van Gogh involontario. Allievo di Fattori, pittore dal pensiero molto autonomo, chiuso in manicomio per 4 anni, prima a Siena e poi a Livorno, Puccini trova il suo stile pittorico proprio dopo la traumatica esperienza manicomiale, dipingendo solo per la gioia di dipingere. Accanto ai suoi dipinti paesaggistici e di vita quotidiana fanno da contrappunto i disegni, gli schizzi e i ritratti di Gino Sandri, promettente artista e illustratore, dalle solide basi artistiche, oltre che scrittore straordinario, capace di tratteggiare i caratteri di un’uma nità, quella dei malati di mente, varia, ai margini, ma sempre poetica. Chiuso per molti anni in manicomio probabilmente più per motivi politici che psicologici, con conseguenti ripercussioni sul suo equilibrio mentale, egli riesce attraverso le sue opere a raccontare la vita vera dei manicomi, costituendo con i suoi volti uno dei vertici narrativi della mostra. Segue poi uno spazio dedicato a Pietro Guizzardi, che pur non avendo vissuto un’espe rienza manicomiale è considerato un artista irregolare per eccellenza, vicino per stile e per ricerca artistica a Ligabue. Contadino di professione si avvicina al mondo della pittura dipingendo con elementi offerti dalla natura come radici, erbe, piante, rappresentando tuttavia non la vita dei campi, ma donne molto sensuali, figure maschili, animali, personaggi famosi, tutto un mondo da scoprire, meraviglioso per la sua intensità. Tra le storie in mostra anche quella di uno dei più importanti artisti italiani del Novecento, dalla carriera internazionale, nonchè fondatore della Metafisica, Filippo de Pisis, che vive l’esperienza manicomiale a seguito di una forte depressione, “un male di vivere” determinato dalla sua forte sensibilità, ma anche dal sentirsi isolato per le sue estrosità e per il suo essere Dandy. I suoi dipinti, dopo l’espe rienza presso l’ospedale psichiatrico Villa Fiorita di Brugherio, si fanno più drammatici, più intensi dal punto di vista emotivo, come dimostrano le nature morte esposte in mostra sotto le quali egli scrive spesso il termine Morte, oppure sul retro a caratteri neri “la vita è bella, Brugherio è la morte”, mostrando come la vita a Villa Fiorita lo consumi e lo privi di ogni barlume di felicità. Di fronte a lui Edoardo Fraquelli, autodidatta che si muove ai suoi esordi all’interno della pittura informale degli anni Cinquanta a Milano. Un artista che dopo anni di una pittura molto sofferta e tormentata, a seguito dell’espe rienza manicomiale e all’amici zia dei coniugi Consonni, che gli commissionano diverse opere, riacquista fiducia in se stesso e ritrova un equilibrio interiore aprendosi ad una luminosità nuova specchio del suo nuovo stato d’animo. In una grande sala quadrata, si incontra una foresta di quadri di Carlo Zinelli.
Fogli dipinti a tempera da uno degli artisti più quotati e più famosi a livello internazionale dell’Art Brut, che ancora giovane entra a contatto con la violenza della guerra in Spagna, ne conosce gli effetti devastanti e tornato in patria, non parla più e viene chiuso in manicomio. Qui trova nell’arte l’unico modo per comunicare con il mondo, dipingendo addirittura sui muri, con la disapprovazione del personale medico e infermieristico, fino a che Vittorino Andreoli, uno dei più grandi psichiatri della storia, capisce il suo grande talento e lo aiuta a costruirsi una personalità artistica che non ha eguali, dando vita ad un mondo iconografico riconosciuto, non tanto come arte manicomiale, ma come arte pura.
Nell’ultima sala è narrata la storia di Rino Ferrari, designer meccanico, le cui opere sono state concesse dal Museo dell’Art Brut. Entrato in manicomio anche lui in seguito all’espe rienza traumatizzante della guerra combattuta in Grecia, già esperto disegnatore per professione come per passione, in manicomio inizia a disegnare le persone mentre esalano l’ultimo respiro, volendo cogliere nel loro volto, nell’attimo del passaggio, il viso di Dio, convinto di dover svolgere la missione di accompagnare le anime dal mondo terreno al mondo ultraterreno. Mentre assiste i moribondi tiene con una mano il crocefisso e con l’al tra disegna l’ultimo respiro dei compagni. Anche dopo il suo ritorno alla vita normale egli si dedicherà agli altri, aiutando i bisognosi e i poveri, passando da Firenze colpita dall’alluvione al Belice, per sostenere i terremotati.
Un ampio spazio dedicato ad Antonio Ligabue conclude il percorso della mostra. Qui la curatrice ha cercato, attraverso i quadri dell’artista, di raccontare i punti salienti della sua biografia e della sua carriera artistica, ad iniziare dalla sua drammatica gioventù, passando per la scoperta del suo talento, soffermandosi sul rapporto con il mondo degli animali, approfondendo la sua fragile psiche sottolineando la sua distanza dall’arte naif, a cui spesso erroneamente la sua pittura viene accostata, quando invece lui ha una sua coscienza di artista che va ben al di là dell’i stintività naif, riuscendo ad affermarsi con uno stile proprio che va cambiando con il passare del tempo, permettendogli di uscire dall’anonimato e attuare quel riscatto sociale, che tanto aveva desiderato.
Tante storie dunque uniche che si svelano attraverso altrettante opere molto diverse per tecniche, stili e soggetti, tutte emotivamente coinvolgenti frutto di esperienze dolorose e intime, dovute soprattutto ad una società che, fino a poco tempo fa, tendeva a stigmatizzare comportamenti “originali” come “folli”. Come a suo tempo disse Andreoli “Se fossero vissuti oggi questi artisti noi non dovremmo più etichettarli come Art Brut, in quando non essendoci più i manicomi non c’è più neppure il bisogno di stigmatizzarli e sarebbero considerati solo ed esclusivamente “artisti”, e le loro opere d’arte guardate solo come tali”.
Cosa che dobbiamo fare anche noi davanti ai loro capolavori, mentre giriamo per le sale della mostra del Museo delle Paure di Lecco.
Antonio Ligabue e l’arte degli outsider, Lecco-Palazzo delle Paure, 13 giugno-02 novembre 2025.