Gustavo Adolf Rol è stato un enigma vivente e lo resterà per sempre. Un grande medium e sensitivo per molti, semplicemente un prestigiatore, un illusionista, un ipnotista per altri. Cosa succedeva in via Silvio Pellico 31, in un lussuoso appartamento di Torino (la città più esoterica d’I talia,) affacciato sul parco del Valentino?
Questo strano personaggio, prima bancario per volere del padre, poi antiquario e infine pittore per diletto, intratteneva gli amici e i conoscenti tra le sue stanze dove sembrava in grado di sovvertire la logica, la razionalità, perfino la materia con fenomeni paranormali (frequentò, tra gli altri, De Gaulle e Gianni Agnelli). Francesca Diotallevi, milanese, con L’ultimo mago (Neri Pozza, 2024) imbastisce una narrazione in cui scova i segreti di Rol partendo dalle vicende di uno squattrinato alcolista e aspirante scrittore (Nino Giacosa), tornato dalla prigionia in India seguita dalla disfatta di El Alamein durante il secondo conflitto mondiale, che si imbatte in Miriam, una donna conosciuta in gioventù, dalla doppia vita, la quale lo introduce nella cerchia di Rol. Nino inizia a scrivere il romanzo: la storia che gli mancava e che cercava disperatamente. “Doveva essere sulla cinquantina, ben più alto della media degli uomini presenti in quella stanza, quasi completamente calvo e con le movenze di in un individuo dalla muscolatura robusta. Indossava un raffinato completo di sartoria, ai polsi gemelli di madreperla e sul mignolo della mano sinistra un chevalier d’oro. Gli piantò addosso due occhi di un azzurro tanto chiaro da sembrare trasparenti”. Francesca Diotallevi preserva una scrittura lineare, molto diretta, che scorre con un nitore pari all’oscurità del suo Rol, impenetrabile e affascinante, metafisico e imprevedibile. Davvero partendo da una carta da gioco è possibile smembrare, disgregare i colori, renderli poltiglia, trasformare l’oggetto in un’al tra carta come niente fosse? E’ mai possibile che un uomo possa leggere nei libri chiusi, prevedere il futuro, conservare cimeli napoleonici, dipingere senza toccare i pannelli, viaggiare nel tempo, comunicare con l’aldilà?
Rol, chiamato a Villa Torlonia dalla corte del duce, comunicò a Mussolini che avrebbe perso la guerra. C’è sempre una spiegazione per tutto, verrebbe da dire. Esiste anche ciò che non vediamo ad occhio nudo, che avvertiamo appena tra le ombre, che chiamiamo anima, spirito. Il romanzo, seppure calato in una realtà immaginifica, a tratti surreale, non perde i connotati empirici. Se Rol è il personaggio centrale, la psiche e i suoi risvolti non vanno mai a cozzare con la lucidità di chi pone dubbi e scetticismo, su chi si formula domande che superano lo stesso stupore degli astanti. E’ proprio l’estremo equilibrio dei co-protagonisti che rende L’ultimo mago un bel romanzo, credibile più degli esperimenti di Rol che non convincono Nino. In una recente intervista pubblicata sul sito di Neri Pozza, Francesca Diotallevi ha riferito: “Non ho risposte su Gustavo Rol.
Né, in realtà, voglio averne. La sua figura, a trent’anni dalla morte, non ha ancora smesso di far parlare di sé, di incuriosire, di affascinare. Immagino che questo avvenga per l’innato bisogno di magia che ognuno di noi ha dentro di sé, per il desiderio di credere che appena sotto la superficie di questo mondo ne possa esistere un altro, e che qualcuno sia in grado di oltrepassare la soglia”.