L’esclusione dal diritto al lavoro resta una delle fratture più profonde del Paese. Le posizioni più critiche si registrano in Sicilia, Calabria e Campania. Nel Mezzogiorno pesano fragilità strutturali, bassa mobilità e scarse opportunità qualificate, con effetti particolarmente gravi per giovani e donne. Un dato simbolico è la mobilità dei laureati: in Basilicata il saldo migratorio è del -44,7%, ma resta superiore al -30% in quasi tutte le regioni del Sud, contro il +23% dell'Emilia-Romagna.
Anche sul piano economico l'Italia mostra un divario netto. Le regioni del Mezzogiorno restano le più vulnerabili, mentre Nord-Est e Nord-Ovest registrano le condizioni migliori. Tra i casi più critici spiccano ancora Calabria, Sicilia e Campania, dove il rischio di povertà supera il 36%. Situazioni di fragilità emergono anche in Liguria e Lazio, dove il reddito medio non basta a compensare le difficoltà nel sostenere mutui e affitti.
L’Euripes rileva un forte divario nei diritti sociali, misurato attraverso 19 indicatori su capitale sociale, partecipazione e offerta culturale. Le regioni del Sud sono penalizzate dalla scarsità di risorse pubbliche, dalla debole rappresentanza femminile e dalla mancanza di spazi aggregativi. In Calabria oltre il 43% dei cittadini non partecipa ad alcuna attività culturale o di intrattenimento, contro appena il 14,8% in Trentino-Alto Adige. Nel complesso, lo studio evidenzia tre linee di frattura: tra Nord e Sud, tra aree urbane e periferiche e tra territori densamente abitati e zone a bassa popolazione. Anche l'accesso ai servizi essenziali mostra forti disuguaglianze territoriali. Nel Mezzogiorno pesano interruzioni nei servizi idrici ed elettrici, difficoltà di accesso a pronto soccorso, uffici pubblici e forze dell'ordine, e una scarsa digitalizzazione della Pa locale. Il Nord risulta più avanti nei servizi per l'infanzia, con una maggiore disponibilità di posti pubblici e tassi di presa in carico più elevati. Secondo l'Eurispes, l'esclusione ”non si manifesta tanto nella forma della negazione esplicita di un diritto, quanto nella sua erosione silenziosa con servizi che esistono formalmente ma sono troppo distanti, poco affidabili, mal distribuiti, carenti di personale o tecnologicamente inadeguati”.
Nel campo della salute, il rapporto spiega come le regioni più penalizzate siano Calabria, Campania, Sardegna, Puglia e Sicilia, mentre Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Trentino-Alto Adige garantiscono le migliori condizioni. Quasi un cittadino su tre in Molise si sposta per curarsi in un'altra regione, contro appena il 5% in Lombardia. Il diritto alla salute resta formalmente universale ma sostanzialmente diseguale, con livelli di soddisfazione e fiducia più bassi al Sud sebbene nel Meridione si distingue spesso positivamente una migliore copertura medica di base. Sul fronte dell'istruzione, emergono differenze altrettanto marcate: le Marche guidano la classifica dell'inclusione, mentre la Sicilia chiude la graduatoria. L'abbandono scolastico va dal 5,6% in Umbria al 17,3% in Sardegna, e i Neet superano il 27% in Sicilia e Calabria, contro l'8,8% del Trentino-Alto Adige. Anche le competenze di base restano un nodo critico. In Sicilia e Calabria più della metà degli studenti mostra competenze alfabetiche inadeguate, mentre in Umbria, regione più virtuosa, ci si ferma al 32%.
Infine, l’Eurispes evidenzia forti squilibri anche nei diritti trasversali, che comprendono aspetti ambientali, di sicurezza e di funzionamento istituzionale. Le disuguaglianze restano profonde: il verde urbano passa da 319 mq per abitante in Trentino-Alto Adige e Molise a soli 10,6 in Puglia, mentre in Basilicata oltre il 65% dell'acqua si disperde prima di raggiungere gli utenti, mentre in quasi tutte le regioni del Nord i valori sono inferiori al 35%. I tempi della giustizia civile vanno da una media di sei mesi in Valle d'Aosta a oltre due anni in Basilicata. Nei grandi centri urbani emergono livelli più alti di criminalità e percezione di degrado, con Lazio e Lombardia ai primi posti. Nel complesso, l'Eurispes avverte che integrare crescita economica, sostenibilità ambientale, sicurezza e buona governance resta una delle sfide più difficili per la piena cittadinanza.
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Rischio di povertà per il 23,1% della popolazione, percentuale che sale al 39% nel Mezzogiorno. Sul fronte opposto, prosegue il percorso attuativo della riforma della non autosufficienza e la spesa sociale complessiva nel 2024 ha raggiunto i 587 miliardi. Questa è quanto sottolinea il Cnel nel capitolo ”Povertà e diseguaglianze” all'interno della Relazione annuale sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini, inviata al Parlamento e al Governo. Contro una media europea del 21%, la popolazione italiana che vive in condizioni di rischio povertà o esclusione sociale è pari al 23,1%. Una situazione che interessa in particolar modo i disoccupati, i giovani, le donne, le persone a basso livello d'istruzione e gli immigrati. Nel Mezzogiorno la percentuale sale al 39%. In questo contesto, per l'Italia il 2024 ha rappresentato un anno dedicato a profonde riforme che hanno riguardato il sistema delle politiche sociali, configurando nuovi modelli di governance che riconoscono agli Ambiti Territoriali Sociali una significativa centralità. Tra le innovazioni più rilevanti c'è l'Assegno di Inclusione (Adi), che al 31 dicembre 2024 ha coinvolto 758 mila nuclei beneficiari, per un totale di 1,8 milioni di persone, con un importo medio mensile di 620 euro. Il 68% dei nuclei beneficiari si concentra nel Mezzogiorno. Prosegue anche il percorso attuativo della riforma relativa alla non autosufficienza, secondo un modello più integrato, capace di connettere servizio sanitario nazionale, Inps e servizi territoriali. E questo a fronte di un processo d'invecchiamento demografico che in Italia è particolarmente accelerato. Gli over 65 sono ormai quasi un quarto della popolazione e fra questi oltre 4 milioni sono non autosufficienti. La spesa sociale complessiva nel 2024 ha raggiunto i 587 miliardi, pari al 59% della spesa corrente pubblica. Di questi, circa 57 miliardi sono destinati all'assistenza sociale in senso stretto. Permane uno squilibrio a favore di pensioni e trasferimenti rispetto ai servizi territoriali, che continuano a essere sottofinanziati.
Sempre il Cnel fa sapere che gli italiani si rivolgono sempre più a quella privata spendendo 42,6 miliardi annui, il 25% del totale della spesa sanitaria nazionale, con un incremento del 2% nell'ultimo anno. Riguardo il finanziamento pubblico, nel 2023, l'Italia registra una quota di spese sanitarie al 74% contro una media europea del 77,3%.
Giampiero Guadagni